Se il Festival di Venezia è un “luogo di verità” solo odiando Israele

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – I nostri artisti che in due anni non sono riusciti a dire un “cretinetti” a Hamas rilanciando però la sua propaganda sul red carpet vogliono che il Festival di Venezia sia un “luogo di confronto aperto e sensibile”. “Uno spazio di verità”, dicono. In questo luogo aperto va bene un film sui bambini palestinesi – “The Voice of Hind Rajab” della regista Kaouther Ben Hania – ma Gerald Butler e Gal Gadot no. Si revochi l’invito, non devono mettere piede a Venezia perché “sostengono il genocidio”. Al loro posto, si inviti “una nostra delegazione che sfili sul red carpet con la bandiera palestinese”. E sapete come lo sostengono il genocidio? Gal Gadot perché ha fatto il militare nel 2005. Butler perché nel 2018 ha raccolto fondi per l’Idf (come anche De Niro, Schwarzenegger e altre star di Hollywood che hanno a cuore l’esistenza, la difesa, la sopravvivenza di Israele in quel pezzo di mondo). Ma i nostri artisti hanno deciso qual è la verità, quale bandiera deve sventolare, chi può andare a Venezia e chi no. Aspettiamo altre indicazioni utili su Ucraina, Sudan, stragi di cristiani in Nigeria. Su Hamas facciamo da soli. Gli artisti ci hanno abbandonato.

Andrea Minuz

From the river to the sea, antisemitism will be free.


Al direttore – Devo dissentire, direttore. Nel “risiko bancario” per me non c’è nulla da difendere del ruolo della politica, anche senza scomodare il dogmatismo di mercato: senza ragioni che somiglino all’interesse pubblico, il Mef ha intralciato qualcuno e favorito qualcun altro, facendo l’arbitro e il giocatore che entra a gamba tesa. E la foresta ex pietrificata delle banche italiane si sarebbe mossa e si muove comunque. Ricapitoliamo: a novembre 2024 la milanesissima Unicredit annuncia un’Ops su Banco Bpm, socio insieme al Mef, a Caltagirone e Delfin di Mps. Salvini parte all’attacco e chiede l’intervento di Bankitalia mentre Giorgetti minaccia l’uso del golden power, invocando la sicurezza nazionale per un’operazione tra aziende italiane. Perché? Negli stessi giorni il Mef cede il 15 per cento di Mps attraverso la piccola e inesperta Banca Akros, di proprietà di una parte in causa, Bpm: in pochi minuti quel 15 per cento finisce a soli 5 compratori, già soci di Mps e del Mef stesso nella scalata a Mediobanca. Unicredit formalizza la sua Ops su Bpm, e il governo vara un incomprensibile golden power costringendo Unicredit a rinunciare. Tar e Commissione europea smontano la legittimità del golden power e i francesi di Crédit Agricole si avviano al controllo di Bpm. Ciliegina: le casse previdenziali di avvocati, medici e agenti di commercio, vigilate dal Mef, concentrano le posizioni in capitale di rischio su Mediobanca, contribuendo alla bocciatura dell’offerta di Piazzetta Cuccia a Banca Generali. Per carità, può darsi che Crédit Agricole farà meglio di Unicredit con Bpm; può anche darsi che l’acquisizione di Mediobanca da parte di Mps, a differenza di quanto sembrerebbe, si riveli brillante industrialmente e non un’operazione ponte per chi vuole conquistare Generali, unica partecipazione di rilievo rimasta a Piazzetta Cuccia; può darsi che la principale compagnia di assicurazioni italiana possa essere ben gestita da due soci forti che nella vita hanno fatto, bene, tutt’altro. Ma se da tutto questo non dovesse uscire, come probabile, nulla di buono, non ci sarà alcuna sanzione di mercato perché Salvini e Giorgetti, con Meloni, avranno usato in modo improprio (vedremo quanto legittimo) potere e risorse pubbliche per interessi di parte e non esplicitati disegni politici. Qualcuno forse vuole ridimensionare la finanza milanese, un po’ come per i grattacieli, ma così è troppo, anche nella stagione del Trump acchiappa tutto.

Benedetto Della Vedova

Caro Della Vedova, grazie della sua lettera polemica. Non pretendo di convincerla rispetto alla nostra tesi. Mi limito a suggerire qualche chiave di riflessione in più. Noto con sorpresa che un sostenitore del mercato, come lei, ha mancato di ricordare un dato importante. Ovverosia: i numeri del mercato, e come sono andate le borse nell’ultimo mese, soprattutto nel settore bancario. Ha dimenticato di ricordarlo perché quei dati, molto positivi, contraddicono la sua tesi. E ha dimenticato di ricordarlo perché in fondo per quanto uno stato possa mettere il becco nel mercato (sul golden power contro Unicredit il governo ha abusato di un’arma legittima, sul resto no) alla fine ci sarà sempre un termometro che valuterà la sua azione. E il termometro è sempre quello: il mercato. Fare i mercatisti, cosa che a noi piace molto, senza fare i conti con i numeri del mercato significa voler ragionare in modo astratto, dogmatico, senza porsi domande laiche come quelle che ci siamo poste noi. Domanda numero uno: il governo ha giocato un ruolo nel risiko? Affermativo. Domanda numero due: il mercato ha beneficiato delle acque movimentate anche dalla politica? Affermativo. Le offro i numeri degli ultimi dieci giorni. Indice bancario italiano (“Ftse Italia All Share Banks”): più 1,7 per cento, leggermente più del mercato generale (il Ftse Mib ha oscillato attorno al +0,5 per cento nello stesso periodo). Quanto al resto, caro Della Vedova, non ricordavo che i radicali auspicassero e invocassero l’interventismo della magistratura per risolvere temi che dovrebbero riguardare solo e soltanto la politica e il mercato. Speriamo solo di aver capito male. Un caro saluto a lei.

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