Zaia aspetta Meloni e si prepara a trattare sul futuro del Veneto

Il governatore uscente alza la voce e sostiene che una sua lista civica alle regionali “vale il 40-45 per cento”. Salvini e Meloni non la vogliono. Zaia lo sa e potrebbe anche rinunciare, ma a patto di una congrua contropartita

Luca Zaia sta solo aspettando di essere convocato a Roma entro le ferie estive. Nel frattempo tiene in canna il colpo che può tenere sotto scacco il centrodestra in Veneto: “I dati parlano da soli, la mia lista arriverebbe al 40-45 per cento. Vedremo se i partiti vorranno valorizzare questa risorsa”. Altrimenti il governatore prenderà atto. E chissà. Tutto ruota attorno alla capitale, all’incontro tra Meloni, Salvini e Tajani che determinerà le gerarchie interne delle prossime regionali. “Aspetteremo le indicazioni del tavolo romano, poi ognuno capirà se sono sostenibili o meno. E il territorio valuterà se essere presente o assente all’appello”. Per adesso però, “non è ancora arrivato il momento di esprimersi: in questa fase siamo in una stanza buia, tutti cercano l’interruttore…bisogna capire chi lo trova”. Doge come al solito sibillino. E un po’ sornione: a dare corrente elettrica sa benissimo come si fa.



Patti chiari e amicizia lunga, fa capire Zaia. Anche senza più potersi candidare, in Veneto resta una potenza. Garanzia di vittoria e serbatoio di voti. La sua lista li drenerebbe via a tutti, anche perché “intercetta quei veneti che di solito non votano a destra”. E dunque non fa comodo a nessuno. Per questo il Doge vuole trattare: pretendere una civica in suo nome non sarebbe “la linea del Piave” – per usare il linguaggio dei suoi luogotenenti –, ma rinunciarci costerà caro. Agli altri. Qualcosa di grosso in cambio, a Zaia, dovrà andare per forza. L’aut-aut l’ha già fatto intendere lui, elmetto in testa – di Ferrovie dello Stato – e piglio da condottiero nel corso di un evento cerimoniale.



In questo scenario di negoziati, l’interlocutore privilegiato non sarà certo Salvini. Per due ragioni: la finestra del dialogo – congresso federale, sblocco dei mandati – è già passata e il vicepremier non dispone più di alcuna merce di scambio. Anzi: spogliata di Zaia e degli zaiani, la Lega in Veneto non sarebbe che un contenitore vuoto, foriero di batoste. Mentre il tramonto del terzo mandato, per esito e modalità ha lasciato il governatore profondamente dispiaciuto – verso la politica e verso il partito. Ci credeva davvero, lui. Qualcuno invece l’ha illuso. Non Giorgia Meloni, a cui Zaia riconosce trasparenza e correttezza. I rapporti tra i due restano eccellenti: sono stati ministri insieme ai tempi del Berlusconi IV e sanno come prendersi, come avvicinarsi quando occorre farlo. Il futuro del Veneto è un ottimo pretesto. Nel Carroccio locale c’è chi fa notare i rischi della lista Zaia anche per il governatore – qualora non si dovessero rispettare le altissime aspettative elettorali – ma in casa FdI sanno che va trattata col dovuto rispetto. Anche soltanto come ipotesi. Il Doge controlla il calendario, guarda l’estate scorrere e sa che presto o tardi la chiamata di Giorgia – magari attraverso Giovanni Donzelli, pure tenuto in alta considerazione – arriverà. Meglio presto, però. Che mezzo Veneto scalpita e insisterebbe a votare per Zaia. Ancora una volta.

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