Ragazzo che volevi fare scena muta all’orale, credevamo in te. Ma a qualcosa hai risposto

Lo studente che non crede nei voti non sa ancora che il carnefice è interiore, ovvero il confronto con se stesso e con chi potrebbe potenzialmente essere. La scena muta e la competizione che fa bene alla salute

Mentre il Financial Times titola: “Porto di Rotterdam si attrezza per eventuale guerra contro i russi”, per fortuna qui si parla d’altro. La società agonistica, di questo argomenterà il paragrafo di oggi. In onore del diciottenne che si è rifiutato di dare l’orale alla maturità perché non ci crede e perché i voti incoraggiano un triste agonismo del sistema. È proprio vero. Io sono agonista da quando avevo cinque anni. Nacque mio fratello a inizio estate, il primo di due, e fu chiaro subito che non sarei mai più stata la preferita sul trono. Fui gettata ai lupi, nessuno curava la mia sensibilità tranne mio nonno che però offriva sostegno parziale, cinquecento lire al pomeriggio per comprare un Fior di fragola. I giocattoli iniziarono a scarseggiare pesantemente. Il mondo mi chiese di essere autosufficiente – non devi scocciare il prossimo, specialmente tua madre. Come forma di rappresaglia alla famiglia della performance decisi di mangiare poco, dovevano pregarmi. Una tecnica passivo-aggressiva che funzionò, ma non poteva durare per sempre, e fu ignorata con successo dai miei genitori. Alla notizia del giovane che rifiuta l’esame orale di maturità, perché – dice – alimenta un ordine ingiusto e la tendenza alla gara sociale, io annuisco con vigore. Lo capisco, è idealismo.


Poi si soccombe, più avanti negli anni, perché la performance è ovunque. Puoi anche scappare, ma quella prima o poi ti raggiunge. E’ performance il primo amore non corrisposto: non è che non vuole te in assoluto, vuole solo più le altre. E’ una cosa un poco diversa, c’è competizione. E si deve fare a gara contro i belli, allora? Sì. Bisogna attrezzarsi a essere interessanti, se il resto manca? Già. È performance all’università. C’erano certi stronzi portatissimi per gli studi di legge, sapevano tutto, ricordavano tutto, facevano i collegamenti che a me non riuscivano. E quindi esistono i più bravi di me?, mi chiesi a vent’anni. Sì, e meno male che esistono e performano perché sono quelli che poi nel futuro faranno ottime riuscite specialmente in medicina di ricerca e chirurgia, e garantiscono i progressi e la sopravvivenza di noi pesi mosci.


Il ragazzo dice che non crede nei voti, ma non sa ancora che il carnefice è interiore. Il supplizio è il confronto costante con chi potrei essere, se solo mi impegnassi di più. Quello è l’aguzzino vero.


E allora ho pensato (1): la scuola è solo la prova generale del mondo, un esercizio di decodifica delle assurdità, delle ingiustizie, dello scoprire sgomenti, e non conta solo quello che dici ma come lo sai dire, che gli altri che giudicano esistono, che un poco di competizione è normale e fa bene alla salute – le migliori riuscite non vengono dal desiderio di riscatto generato da terzi? E poi ho pensato (2): lo so che l’orale degli esami non misura il pensiero critico. Ma nemmeno la vita misura il pensiero critico. Qua fuori si seleziona con altri parametri, alcuni scemi altri meno: puntualità, disponibilità, intelligenza, matematica, intuito, quanto sei veloce, quanto sei affidabile, quanto sei poco nervoso, quanto è intera la delega a tutto che possono darti senza supervisione. E siccome avevo tempo ho pensato ancora (3): il giovane che non gareggia però sta gareggiando. E’ per una nuova classifica: quella dei puri, degli integri, dei disertori etici. Stavo facendo tutte queste mie riflessioni di metodo, al largo del porto di Rotterdam, quando mi imbatto in un’intervista. E’ arrivata la rettifica della preside della scuola. Il ragazzo, giunto all’esame, ha sì preannunciato la rivolta di Spartaco, ma poi si è ricreduto. Gli hanno spiegato ben bene che la scena muta valeva zero spaccato, e così c’era da essere bocciati. E’ arrivata la controfferta dei professori, la scuola rilancia: Le facciamo qualche domanda a piacere, va bene? E la mandiamo a casa promosso. Si faceva pure negli anni 90. Il giovane ha risposto che andava bene, e non ha fatto scena muta. Così ha avuto la promozione. E quindi l’agonismo (i.e. la capacità di sopravvivenza) ha vinto un’altra volta.

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