Zuckerberg punta su talenti d’élite con offerte milionarie per rilanciare l’AI, tra acquisizioni da 14 miliardi e rischi per il futuro tech
Nel luglio 2025, un’inchiesta del Wall Street Journal ha raccontato con toni da spy story un episodio esemplare della nuova corsa all’oro dell’intelligenza artificiale: la decisione di Mark Zuckerberg di offrire fino a 100 milioni di dollari ad alcuni dei migliori ricercatori al mondo per rafforzare il team di Meta, in evidente ritardo nella competizione tra giganti tech. L’operazione, che ha assunto tratti quasi personali, è diventata il simbolo della posta in gioco nella battaglia per la leadership nel settore dell’IA.
Il contesto: dopo il successo di ChatGPT (OpenAI), Gemini (Google), Claude (Anthropic), Meta si è trovata a rincorrere. Il suo modello Llama, presentato nel 2023, ha avuto una certa risonanza iniziale, anche per via della scelta di renderlo open source, ma nel tempo ha mostrato limiti strutturali rispetto ai rivali. Il lancio della versione “Behemoth”, previsto per aprile 2025, è stato rimandato più volte, e i tentativi di bluffare – ad esempio con la versione ottimizzata del modello inviata alla piattaforma di test “Chatbot Arena”, diversa da quella distribuita al pubblico – hanno sollevato critiche e sospetti nel settore.
A quel punto Zuckerberg ha cambiato strategia: se i modelli non funzionano, occorre cambiare chi li costruisce. Nasce così il nuovo reparto “Meta Superintelligence Labs”, guidato da una figura emblematica, Alexandr Wang, fondatore di Scale AI, startup specializzata nella creazione di dataset per l’addestramento di modelli linguistici. Per convincerlo, Meta ha acquistato una quota della sua azienda per 14 miliardi di dollari, rendendolo uno degli “acquisti” più costosi nella storia del tech.
Ma l’operazione non si ferma lì. Zuckerberg in persona ha inviato messaggi diretti a decine di ricercatori – spesso con PhD da Berkeley, Carnegie Mellon, MIT, e con esperienze a OpenAI, DeepMind o Anthropic – invitandoli nelle sue case private per colloqui informali. Molti inizialmente pensavano a uno scherzo. Altri, invece, hanno accettato: 11 nuovi ingressi annunciati, tra cui nomi importanti da OpenAI e DeepMind. Alcuni però hanno rifiutato, anche grazie alle contromosse dei concorrenti: secondo le fonti del WSJ, OpenAI ha rilanciato le offerte a diversi talenti per trattenerli.
Ciò che emerge è un mercato del lavoro iper-competitivo, in cui le superstar dell’intelligenza artificiale sono diventate il nuovo “petrolio umano” della Silicon Valley. I compensi offerti – si parla di pacchetti fino a 100 milioni di dollari – riflettono la consapevolezza che il vantaggio competitivo in questa fase dell’AI non sta solo nella potenza di calcolo o nella quantità di dati, ma nella qualità delle menti che guidano la progettazione dei modelli.
Al centro della strategia di Meta c’è l’intenzione di integrare sempre più profondamente l’AI nei suoi prodotti principali: Facebook, Instagram, WhatsApp e soprattutto nel suo motore pubblicitario. L’AI serve oggi per targettizzare meglio gli utenti, generare annunci, trasformare immagini in video, ottimizzare l’engagement. Se Meta riuscirà ad avere modelli più efficaci, potrà aumentare esponenzialmente i suoi profitti pubblicitari.
Ma i rischi sono enormi. La corsa costa: Meta prevede di spendere 72 miliardi di dollari in investimenti in capitale nel solo 2025, gran parte destinati all’AI. Se i modelli non saranno all’altezza, Meta potrebbe perdere terreno a favore di chi riuscirà a integrare l’intelligenza artificiale nei propri ecosistemi in modo più efficace – e redditizio.
L’inchiesta del Journal si chiude con un paradosso: in questa guerra di colossi, i veri vincitori – almeno per ora – sono i ricercatori stessi. Corteggiati, strapagati, decisivi. Un’élite che sta scegliendo dove far fiorire la prossima generazione dell’intelligenza artificiale. E che, tra un algoritmo e una villa a Palo Alto, si gioca – in silenzio – il futuro della tecnologia globale.