Alberto Fraccacreta scrive poesie che inneggiano alla gioia del soul e del rhythm & blues
Il canto esistenziale di Sam Cooke, l’uomo che è universalmente riconosciuto come l’inventore del soul, risuona nel nuovo libro di versi di Alberto Fraccacreta (Jesus Give Me Water. Una vita esteriore e interiore liberamente ispirata a Sam Cooke, Interno Libri Editore, 92 pp.), che ripercorre la stagione di gloria di questo grande personaggio morto alla precoce età di trentatré anni a causa di un colpo di pistola sparato in circostanze mai chiarite.
Composto da trentatré liriche per trentatré versi ciascuna, il libro di Fraccacreta, nel seguire i titoli dei pezzi più importanti di Cooke, non è altro che un inno alla gioia, una gioia che si fa strada attraverso l’amore per il blues e per quegli strati marginali della popolazione afroamericana che era solito cantarlo quotidianamente, anche quando “infuria l’uragano sui quartieri di latta / quando lampeggiano, lampeggiano a Deer Creek / onde tumultuose e tu sei agli inizi, / un’allodola di prato, / agli inizi del margarita e dello sherry”.
Con una grande maestria nel saper proporre delle liriche à contrainte, Fraccacreta riesce a ricreare all’interno di questo breve libretto una intera stagione musicale e culturale, passando attraverso riferimenti biblici che svelano tutta l’erudizione del giovane studioso: dai riferimenti a Canaan a quelli alla città di David, la liturgia si mescola allo spasimo vibrante del dettato ritmico di queste poesie, infarcite da metafore e da episodi tipici del blues degli anni 50-60. Il ritmo, sincopato e “jazzé” dei versi, risuona nella grancassa dell’immaginazione e dell’ebbrezza di personaggi scanzonati alla Bukowski, convinti di poter raggiungere Dio per mezzo della musica, percepita come “l’attimo celestiale in cui suono e realtà / si compenetrano”.
Fraccacreta è altresì molto abile nel celebrare una geografia attenta ed esatta, quella che spazia dal Mississippi alla California fino alla Louisiana della musica sfrenata dei locali di New Orleans, dove musicisti neri si alternano in sterminate jam session di jazz e rhythm & blues, cercando quella gioia vagheggiata che non riescono a trovare senza i loro strumenti, né tantomeno senza dosi massicce di alcol e fumo. I personaggi di questi versi diventano allora un flusso che si incanala all’interno dei vari quadretti poetici producendo una rete immaginifica di eventi che non segue un andamento lineare, ma che al contrario raggiunge, attraverso dei raccordi intertestuali, il cuore pulsante del messaggio divino, quello che condurrebbe insomma alla piena salvezza. Del resto, per sopravvivere, serve acqua, e più se ne ha più ci si avvicina a Gesù, come palesa la voce narrante in uno degli ultimi componimenti della silloge: “L’acqua è per te ritmo incessante della letizia / di quanto sia stato perdonato / per una canzone / di chiarore e di fiamma. / Iridescente, scintillante nel balenio, alba, ambra. / Gesù mi diede l’acqua per non aver più sete. / Oh, dammi ancora dell’acqua, Gesù / Amen”.