Con l’Ucraina senza se e senza ma. I vescovi dell’Ue ringraziano anche per l’impegno militare

I vescovi riuniti nel Comece hanno pubblicato nei giorni scorsi una Dichiarazione in cui si afferma che “la lotta dell’Ucraina per la pace e la difesa della sua integrità territoriale non è solo una lotta per il proprio futuro. Il suo esito sarà decisivo anche per il destino dell’intero continente europeo e di un mondo libero e democratico”

Se la Santa Sede, attraverso i suoi più alti canali diplomatici e gli editoriali pubblicati sull’Osservatore Romano (che della Santa Sede è organo ufficiale), si schiera contro il piano “ReArm” presentato dalla Commissione europea e appoggia i tentativi di facilitare una mediazione che porti quantomeno alla tregua fra le Parti, i vescovi europei riuniti nella Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) non sembrano porsi sulla stessa linea. Qualche giorno fa, infatti, hanno pubblicato una Dichiarazione in cui si afferma che “la lotta dell’Ucraina per la pace e la difesa della sua integrità territoriale non è solo una lotta per il proprio futuro. Il suo esito sarà decisivo anche per il destino dell’intero continente europeo e di un mondo libero e democratico”. Ancora, osservano i presuli presieduti dall’italiano Mariano Crociata (vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno e già segretario generale della Cei fino al 2013), “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è una palese violazione del diritto internazionale. L’uso della forza per alterare i confini nazionali e gli atti atroci commessi contro la popolazione civile sono ingiustificabili e richiedono inoltre una conseguente ricerca di giustizia e responsabilità”.

A differenza delle note vaticane (papali e non solo), i vescovi europei plaudono anche all’impegno militare in difesa di Kyiv: “Desideriamo esprimere la nostra gratitudine ai decisori dell’Ue per aver fornito un sostegno umanitario, politico, economico, finanziario e militare senza precedenti all’Ucraina e al suo popolo negli ultimi anni. Apprezziamo inoltre profondamente gli instancabili sforzi delle organizzazioni della società civile, tra cui molte organizzazioni di ispirazione religiosa, e dei cittadini europei nel mostrare gesti concreti di solidarietà con le persone che soffrono per le conseguenze della guerra”. Di qui, l’appello: “Chiediamo all’Unione europea e ai suoi stati membri di rimanere uniti nel loro impegno a sostenere l’Ucraina e il suo popolo”. E la comunità internazionale “deve continuare ad assistere l’Ucraina nella ricostruzione delle infrastrutture distrutte. La Russia, l’aggressore, deve partecipare adeguatamente a questo sforzo. In risposta alla ricerca dell’Ucraina di un futuro all’interno dell’Unione europea e alle riforme interne realizzate a tal fine, chiediamo all’Ue di portare avanti il processo di allargamento in modo tempestivo ed equo insieme agli altri paesi candidati”. Quanto alle trattative, apertura totale ma con paletti ben chiari: “Una pace integrale, giusta e duratura in Ucraina può essere raggiunta solo attraverso i negoziati. Qualsiasi sforzo di dialogo credibile e sincero deve essere sostenuto da una forte e continua solidarietà transatlantica e globale e deve coinvolgere la vittima dell’aggressione: l’Ucraina. Respingiamo fermamente qualsiasi tentativo di distorcere la realtà di tale aggressione”. Niente comprensione per le ragioni del Cremlino, dunque. Neanche una parola sulle presunte responsabilità della Nato allargatasi troppo a est, niente bandiere bianche da sventolare. Nulla di tutto questo: è un sostegno totale alla causa ucraina.

Già nei giorni scorsi, peraltro, il rappresentante della Santa Sede per i Rapporti con gli stati, mons. Paul Richard Gallagher, aveva detto in un’intervista che “una pace giusta sarebbe una pace che corregge l’aggressione che hanno subìto”. Pochi giorni dopo, però, sui media vaticani era apparso un editoriale molto duro rispetto al piano di riarmo proposto da Ursula von der Leyen. Si denunciava un’Europa pronta a investire “la cifra esorbitante di 800 miliardi in armi. Li investe per gonfiare gli arsenali e dunque le tasche dei fabbricanti di morte, nonostante già oggi la spesa militare dei paesi dell’Unione superi quella della Federazione russa. E’ davvero questa la via da seguire per assicurare un futuro di pace e prosperità al Vecchio continente e al mondo intero?”. Il vicepresidente del Comece, il vescovo francese Antoine Hérouard ha detto alla Croix che la questione, in fin dei conti, è semplice: “C’è un’aggressione di un paese nei confronti di un altro, e nei confronti di confini riconosciuti a livello internazionale. In nessun caso, questo può essere qualcosa di accettabile. Naturalmente, tutti aspirano a cercare di definire le condizioni per un ritorno alla pace. Ma la pace non può essere semplicemente l’arresto dei combattimenti. La pace presuppone anche un minimo di comprensione della giustizia, perché altrimenti non ci sarà pace, sarà solo una tregua, prefigurando una guerra successiva”. “Nel contesto di una nuova architettura di sicurezza a livello mondiale – aggiungeva mons. Hérouard – è necessario che noi europei possiamo difendere un certo numero di nozioni e valori che ci sembrano importanti: lo stato di diritto, il rispetto delle parole date e degli accordi, il rispetto dei popoli, la dignità di ciascuno”. Anche perché “la grande paura che si sente da parte dei rappresentanti degli stati confinanti con la Russia – la Polonia, i paesi baltici, i paesi scandinavi… – è sapere quale sarà il prossimo obiettivo dei leader russi dopo l’Ucraina”.


Di più su questi argomenti:

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

Leave a comment

Your email address will not be published.