Cresce l’occupazione, cala la produzione. Così l’Italia sbarca il lunario

Il paese cresce, calano disoccupati e inattivi. La ragione? Il fatturato dei servizi. E l’offerta di lavoro garantita dagli stranieri

La buona notizia è che rispetto al mese di dicembre 2024, a gennaio di quest’anno la crescita degli occupati si combina positivamente con una diminuzione sia dei disoccupati sia degli inattivi. I dati provvisori diffusi da Istat per il mese di gennaio indicano che gli occupati aumentano di 145.000 unità rispetto a dicembre e di 513.000 unità rispetto a un anno fa. Salvo qualche mese di piccola flessione (luglio 2023, gennaio e ottobre 2024), l’occupazione cresce ininterrottamente da 25 mesi portando il numero di occupati al record di sempre di 24 milioni 222 mila, pari a un tasso di occupazione totale del 62,8 per cento. Il numero di occupati riprende a crescere decisamente dopo i primi timidi segnali di ripresa seguiti al tonfo di settembre-novembre 2024. Contestualmente diminuiscono i disoccupati dopo l’impennata di dicembre e questo contemporaneamente alla discesa degli inattivi, che segnala come concretamente il mercato del lavoro abbia creato nuova occupazione reale. I disoccupati scendono al 6,3 per cento del totale delle forze lavoro pari a 1.621.000 unità, 81 mila persone in più del record di novembre scorso (1.540.000). Resta ancora molto alto il numero degli inattivi (12.242.000) quasi stabile negli ultimi 30 mesi. Tra gli occupati 14 milioni sono maschi e 10,222 femmine. Il numero di disoccupati vede maschi e femmine quasi in parità con una lieve prevalenza di maschi. La crescita riguarda sia i dipendenti a tempo indeterminato che raggiungono i 16 milioni 447mila (+ 60 mila unità), i dipendenti a tempo determinato che ammontano a 2 milioni 663mila (+ 34 mila) e gli autonomi che aumentano di 51 mila lavoratori per un totale di 5 milioni 111mila. Quindi, ed è una notizia positiva, rispetto a dicembre aumentano i contratti a termine (+1,3) e i lavoratori indipendenti, gli autonomi (+1 per cento).

Si tratta di un segnale che normalmente si associa a un’aspettativa di crescita delle imprese. Nel 2024, a livello di macrosettori l’occupazione è cresciuta in agricoltura di 4.800 unità, nell’industria di 98.300, ma il boom si è avuto nei servizi con una crescita di 325.200 pari al 64 per cento dell’intera crescita occupazionale, trainata dal turismo che anche nei primi mesi del 2025 sta macinando risultati positivi. All’interno dei servizi il commercio ha visto crescere l’occupazione di circa 57 mila unità mentre nei servizi ricettivi e di ristorazione l’occupazione è cresciuta di 81 mila unità e di circa 52 mila unità nelle attività professionali autonome. Tuttavia, l’aumento del numero di posti di lavoro non si riflette in un altrettanto miglioramento della produzione industriale. Infatti, nonostante aumenti l’input di lavoro, continua la flessione dell’output: la produzione industriale è calata del 3,5 per cento nel corso del 2024, e l’Rtt (Real Time Turnover Index, che rappresenta l’andamento del fatturato deflazionato e destagionalizzato) registra una esile crescita dello 0,2 per cento a gennaio, del tutto insufficiente ad avvicinarci ai livelli del 2021. Peraltro il 50 per cento delle imprese prevede per il 2025 un andamento stabile e solo il 30 per cento una crescita. Per il comparto dei servizi (Turismo compreso) l’Rtt è addirittura in calo del 2,7 per cento.

L’indice dei consumi (Icc) segna per gennaio un modesto incremento dello 0,3 per cento, mai così basso nel 2023 e 2024. Da notare che il sistema delle imprese si aspetta, per quanto riguarda il mercato del lavoro, un andamento stabile per tutto il 2025. Le imprese hanno bisogno per febbraio di assumere 408.000 persone, di cui il 36 per cento sotto i 30 anni, il 14 per cento laureate, il 28 per cento col diploma di media superiore, il 36 per cento col diploma professionale e il 20 per cento con solo la scuola dell’obbligo. Tuttavia, come ormai abituale, circa la metà della domanda va a vuoto, in parte per mancanza di profili adeguati, ma in maggior parte per mancanza di candidature. Sicché ci troviamo nella paradossale situazione di avere 408.000 posti di lavoro disponibili di cui la metà andrà inevasa, mentre restano 1.620.000 disoccupati alla ricerca di un lavoro e tra questi 725.000 giovani! Questo paradosso mette a fuoco l’esigenza impellente di mettere mano alle politiche attive del lavoro e al sistema di istruzione-formazione; ma contestualmente fornisce una chiave di lettura dell’insolita coesistenza di una crescita occupazionale e di una produzione che resta ferma, se non decresce. Da un lato le imprese, a partire dalla ripresa dopo Covid hanno puntato a resettare gli organici; successivamente, in fase calante, hanno scelto di consolidarli a fronte della difficoltà di incontrare i profili necessari sul mercato del lavoro, facendo ampio uso del contratto a tempo indeterminato; la tensione tra domanda e offerta di lavoro non ha prodotto, come prevede l’economia classica, un aumento dei salari perché, in realtà, “l’esercito di forza lavoro di riserva” esiste, ed è rappresentato dal quei disoccupati che, per esempio, a febbraio in numero superiore alle 200.000 unità non hanno risposto alle domande di lavoro delle imprese. Per non parlare degli oltre 12 milioni di inattivi che abitano il nostro paese. E ciò rende possibile quel gioco di equilibrismo per cui all’alta occupazione corrispondono scarsa partecipazione al mercato del lavoro, salari moderati e bassa produttività cui fa da contrappeso una enorme spesa assistenziale statale spesso a favore di famiglie con giovani che rifiutano molti lavori. Tra i 15 e 24 anni abbiamo il 75,6 per cento dei giovani che risultano inattivi mentre il 18,7 per cento sono disoccupati (in pratica sono pochi quelli che lavorano) e tra i 25 e 34 anni il 23 per cento sono inattivi mentre quasi il 10 per cento è disoccupato. A fronte di questa mancanza di offerta una parte molto rilevante della ristorazione, ricettività e commercio, ma anche della logistica, della distribuzione e spesso della manifattura è sostenuta da un gran numero di lavoratori stranieri in genere regolari ma in molte realtà purtroppo anche irregolari, che si “accontentano” di salari modesti e spesso ai margini della contrattazione collettiva e che appena pretendono qualche giusto diritto vengono sostituiti dai nuovi immigrati. E questo è uno dei motivi, se non il principale, dei bassi salari italiani. E così grazie al fatturato dei servizi e agli stranieri, il nostro paese, con una crescita 2024 del pil dello 0,7 per cento scarso, sbarca il lunario: il nuovo miracolo italiano?

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