Tra tutte le cose che si possono fare tramite l’intelligenza artificiale, sembra che l’interesse sia concentrato su quelle che servono più a vendere uno smartphone al pubblico indistinto. La sensazione è che si sia perso il senso di cosa dovrebbe essere l’IA
Quattro giorni di una fiera come il Mobile World Congress di Barcellona solitamente anticipano quel che dovrebbe essere il futuro per le telco e la tecnologia quotidiana. Un obiettivo sempre più sfuggente: le grandi kermesse ormai vivono la modernità con l’ansia di un cantiere perennemente in ritardo.
Le fiere e l’avvento dell’intelligenza artificiale
I grandi annunci dei produttori arrivano ormai in eventi dedicati, Apple ha fatto scuola: i social restano la vetrina imbattibile, gli stand inseguono senza speranza. Per questo forse sorprende aver visto Barcellona parlare quasi esclusivamente di intelligenza artificiale. Certo, non potevamo aspettarci altro: se nel passato i protagonisti sono stati il 5G e il metaverso (che fine avrà mai fatto?), nel 2025 non potevamo non avere l’IA al centro dell’attenzione. Ma tra le aspettative degli addetti ai lavori e quel che viene mostrato agli stand c’è una bella differenza. Non ce ne voglia il mondo Android, ma tra gli stand l’IA è parsa più un gadget che una rivoluzione: ricerca di immagini simili, messaggi automatici per trovare locali a Barcellona. Niente di più. Fa sorridere pensare che, tra tutte le cose che si possono fare tramite Gemini e i suoi competitor, si siano scelte le funzioni che forse servono più a vendere uno smartphone al pubblico indistinto che ad anticipare le novità a una fiera di settore. Tant’è, Patrick Chomet, vicepresidente di Samsung, ha sottolineato l’importanza dell’IA nel ridefinire l’uso degli smartphone, evidenziando come la propria tecnologia Galaxy AI sia già presente in oltre 200 milioni di dispositivi. Tuttavia, ha riconosciuto che molti consumatori europei mostrano reticenze riguardo ai benefici dell’IA e preoccupazioni sulla privacy.
IA, termine abusato o meno?
Usare l’IA per suggerire agli amici i migliori tramonti in Catalogna ha il sapore del paradosso: più che intelligente, è terribilmente banale. E resta aperta la questione su cosa si intenda davvero per IA. Se le speranze legate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale si ripongono nella capacità di risolvere sfide tecniche precedentemente irrisolvibili, sapere che tra le novità imminenti ci sia la possibilità per scegliere colori per oggetti in base all’ambiente circostante o abbinamenti di outfit è deludente. Il dibattito è acceso: ha senso chiamarla intelligenza artificiale?
Già lo scorso anno lo sviluppatore e ricercatore di intelligenza artificiale Simon Willison, per riferirsi alle attuali tecnologie basate sull’apprendimento automatico, nonostante alcune critiche, aveva ricordato come nonostante i modelli di IA odierni non siano realmente intelligenti come gli esseri umani— sono più assimilabili a un sofisticato “autocomplete”—il termine AI è ormai ampiamente accettato e compreso. Serve fermarsi un attimo e chiedersi: dove stiamo andando? Per evitare questa confusione, il ricercatore suggerisce di distinguere tra AI e AGI (Artificial General Intelligence). Mentre l’AI di oggi è specializzata e limitata, l’AGI rappresenta un’intelligenza paragonabile a quella umana, che ancora non esiste. Invece di rinunciare al termine AI, dovremmo educare il pubblico sulle reali capacità e limiti di questi strumenti.
Paradossalmente i temi del (recente) passato sono indispensabili. L’intelligenza artificiale, infatti, avrà bisogno di infrastrutture adeguate per affermarsi, allo stesso tempo le reti dovranno crescere per rispondere al traffico dati che continua ad aumentare. Per farlo bisogna migliorare l’efficienza e le capacità dell’IA, cercando di affrontare temi che una fiera seppur importante come quella del Mobile World Congress non riuscirà mai a realizzare. Basti pensare alle eterne campagne “No 5G” e alla (paradossale) richiesta di più velocità con meno antenne. Insomma, il cambiamento culturale non passa solo dagli addetti ai lavori. La politica dovrà capirlo: l’IA non è una moda, ma una faglia che ridefinisce il rapporto tra tecnologia e società. Ben oltre le fotocamere e i suggerimenti sugli abbinamenti di colore.