Il difensore della Juventus ha la capacità di acquietare i compagni, concedere loro una tranquillità particolare, quella di sapere di avere qualcuno su cui contare per davvero
Bisogna sempre diffidare da quelli bravi elogiati da tutti. C’è qualcosa nell’empatia attorno ai migliori, ai vincenti, che si mescola e si confonde con la piaggeria. A tal punto da confondere il giudizio dei più, renderlo monodirezionale e privo di qualsiasi valutazione effettiva. Ci sono giocatori bravi e lodati perché bravi e da lodare, ben più forse dei meriti, del talento, dei risultati. Va così non solo nel calcio. Va così pure nel lavoro: gli esseri alpha in un modo o nell’altro ce la fanno sempre, anche in un mondo che prova a cambiare, almeno a parole.
Federico Gatti non è il più forte fisicamente, non è il più veloce, non di certo il più bravo con i piedi e neppure il più capace negli anticipi, c’è di meglio pure tatticamente. Eppure. Eppure a volte gli eppure sono la cosa più importante. Perché in quegli eppure ci sta la somma delle capacità e non le capacità prese una a una. E per somma di capacità di calciatori come Federico Gatti non ce ne sono molti.
Non è tanto il modo di giocare, non solo almeno, è più che altro quello che riesce a dare agli altri, ai suoi compagni, a rendere non comune Federico Gatti. Il difensore della Juventus ha la capacità di acquietare i compagni, concedere loro una tranquillità particolare, quella di sapere di avere qualcuno su cui contare per davvero. Perché forse Federico Gatti non è il miglior difensore al mondo, ma è uno che dà tutto se stesso e pure di più pur di vincere le partite. E questo vuol dire una cosa sola: per gli attaccanti avversari sono problemi.
Acquieta, ma non è cheto. È spigoloso e irruente, guerrigliero e aggressivo, mai però scorretto: tre ammonizioni in trentasette partite dicono molto più dei giudizi di stampa e tv. Un difensore vecchio stampo, quelli da tradizione italiana: rognosi e “rocciosi”, si sarebbe detto un tempo, in pratica un incubo per gli attaccanti avversari.
Federico Gatti è uno che rovina il gioco, almeno alle altre squadre. Per questo le tifoserie avversarie sono solite fischiarlo. Federico Gatti è uno che farebbe però comodo a qualsiasi difesa e a qualsiasi allenatore. Anche perché ogni tanto, quando la partita è complicata e va dato un segnale ai compagni è lui a darlo. E lo dà palla al piede, salendo verso l’area avversaria, quasi a dire a chi ha la sua stessa maglia addosso: oh vi volete svegliare, se posso attaccare io lo potete fare, e meglio, anche voi, forza!
Perché un calciatore del genere è arrivato al professionismo solo a ventidue anni e in Serie A a ventiquattro è semplice e difficile da capire allo stesso tempo. Il fatto che avesse iniziato come trequartista da giovane non ha favorito. Il resto è un mescolio di incomprensioni, limiti caratteriali poi smussati con il tempo e necessità di lavorare. Perché non tutti possono permettersi di aspettare la loro occasione e la vita ogni tanto reclama soldi da portare a casa.
Federico Gatti ha continuato a giocare. Ha accettato l’arretramento in difesa. È stato la sua fortuna. Perché lì e non sulla trequarti era il suo pezzo di campo e quindi di mondo. Perché a volte capita di buttarsi via e buttar via talenti a causa di un’incomprensione o di un eccesso di convinzione tattica. Magari si era difensori e invece si giocava all’attacco. Magari si era mediani e invece ci si riteneva terzini. Non sempre si ha la fortuna di incontrare la persona giusta, quella capace di capire chi siamo davvero prima ancora che riusciamo a capirlo noi stessi. A volte non la si trova mai.
A volte arriva tardi. Federico Gatti non è arrivato in ritardo, ha solo seguito il suo tempo.
Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.