A Gaza sono morti sotto le bombe decine di migliaia di bambini palestinesi. Non ne abbiamo le foto, ma certamente erano simili a Kfir e Ariel, uccisi a mani nude. Una spietata siccità, dove il silenzio di Dio risuona
Passa e ripassa sui media l’immagine di Ariel e Kfir, il fratellino dai capelli rossi con il piccolo di nove mesi in braccio. Lui ha grandi occhi colmi ancora dello stupore dei neonati. Di quello sguardo che hanno i bambini a pochi mesi, sbalordito come chi venga da un altro pianeta, e tuttavia fiducioso. Fiducioso, perché, venuto al mondo, subito ha trovato il seno di sua madre, e il conosciuto battito del suo cuore. E ha saputo, della madre, il profumo della pelle, e il gusto del latte, e il calore dell’abbraccio. Tutto questo aveva conosciuto Kfir, a nove mesi di vita, su questa terra: perciò sorride così, in quella foto.
Ora, si sa che a Gaza sono morti sotto le bombe decine di migliaia di bambini palestinesi. Non ne abbiamo le foto, ma certamente erano simili a Kfir e Ariel. Perché allora proprio l’immagine di quei due non se ne vuole andare dai miei occhi?
Perché, se è vero ciò che afferma Israele, loro non sono morti di bombe, ma li hanno uccisi: volontariamente. Piangevano forse, e il pianto rischiava di attirare l’Idf sulla prigione?
Uccisi a mani nude, dice Israele. E questo cambia. Un bombardamento è cieco, annienta senza guardare negli occhi le vittime. Invece io davvero non so immaginare come si possa uccidere uno come Kfir. Uno che ti guarda come lui. I bombardamenti sui civili sono guerra, e della più atroce. Ma sopprimere a mani nude un lattante è altro, è il fondo del male.
Per di qui si va negli abissi del dolore innocente: di quell’inspiegabile, assurdo dolore dei bambini, per cui ne I Fratelli Karamazov Ivan chiede di “restituire il biglietto”. Restituire il biglietto della vita. Che è molto bella, grazie: ma il dolore dei bambini, quando lo vedi, è intollerabile.
Da giorni cerco di togliermi di mente quei due. Ma ritornano, gli occhi di Kfir, così inermi e fiduciosi. E, cosa gli hanno fatto.
Dio, tace. Tace, come sulle ceneri di Gaza e sulle macerie ucraine. Tace sempre.
Sperare, di questi tempi, è duro come vangare una terra secca di una spietata siccità.