“No alla ricerca militare”: il Politecnico di Torino si piega alle occupazioni

Dopo le minacce di nuove occupazioni, il cda vota un codice etico nella ricerca che dice no agli accordi con ricadute militari. Il rettore aveva rassicurato: “Dovremmo smettere di migliorare l’utilizzo dei droni perché non sappiamo come saranno usati?”. Ma poi ha ceduto alle richieste dei collettivi. I precedenti di Pisa e Siena

Nell’università dove i collettivi volevano impedire al ministro degli Esteri Tajani di presenziare all’inaugurazione dell’anno accademico e per questo avevano dato vita a una nuova occupazione, a una settimana di distanza quegli stessi collettivi possono festeggiare il no dei vertici dell’ateneo alla ricerca in ambito militare. Un qualcosa che andavano chiedendo da tempo. Stiamo parlando del Politecnico di Torino, ovvero uno dei contesti accademici più caldi nell’ultimo anno. Vittima di svariate occupazioni e di una serie di accampamenti che la scorsa primavera durarono alcuni mesi. Tanto da portare il rettore Stefano Corgnati a sporgere denuncia per i danneggiamenti, a indurre la Digos a intervenire. E dove le lezioni sono rimaste sospese per giorni proprio a causa delle tensioni con i movimenti studenteschi pro Pal, che manifestarono e diedero vita a questa sorta di “Intifada studentesca” che prese piede un po’ in tutto il paese. E quindi dopo l’Università di Pisa e quella per stranieri di Siena, anche il Politecnico di Torino dice no alla ricerca in ambito militare. Lasciando aperta la ricerca per “la difesa del paese”, una formula tanto vaga che da una parte potrebbe estendersi a gran parte della ricerca attualmente in corso d’opera nelle università italiane. Dall’altra potrebbe discrezionalmente bloccare progetti con alcune tra le più importanti aziende del settore della Difesa, come Leonardo, anch’ella vittima di una campagna di contestazione e boicottaggio che si protrae da mesi.

Ma come siamo arrivati a questa decisione? A maggio scorso, nel pieno dell’occupazione, il Senato accademico del Politecnico, anche su impulso del rettore, diede vita a un gruppo di lavoro che si sarebbe dovuto incaricare di scrivere il nuovo codice etico per la ricerca dell’ateneo. Era evidente a molti che fosse una scelta dettata dalla volontà di mostrarsi dialoganti nei confronti di chi manifestava, visto che i collettivi insistevano soprattutto sull’interruzione degli accordi in ambito militari e sul boicottaggio delle università israeliane. “Il nostro ateneo è tecnologico e abbiamo una tradizione di più di 170 anni di storia con aziende che operano proprio nei settori che adesso vengono messi in discussione. Però non ha senso smettere di collaborare per partito preso. La tecnologia produce innovazioni che possono servire alla società. Dovremmo smettere di migliorare l’utilizzo dei droni perché non sappiamo come saranno usati? Non vedo dove sia il problema”, aveva voluto rassicurare Corgnati a fine anno scorso parlando alla Stampa. Annunciando che la valutazione sarebbe stata fatta caso per caso. Eppure adesso il consiglio d’amministrazione del Politecnico s’è trovato a dare il via libera a un rifiuto della ricerca in ambito militare che con ogni probabilità, per la discrezionalità con cui si adopererà il criterio della “difesa del paese”, porterà al disconoscimento di importanti accordi nel settore delle tecnologie militari. E su cui adesso dovrà esprimersi anche il Senato accademico.

Per un’università come la Sapienza di Roma, dove la rettrice Antonella Polimeni ha cancellato la presentazione di un libro agiografico sul leader di Hamas Yahya Sinwar prevista il 5 marzo, ce ne sono altre dove l’impressione è che la contestazione stia prendendo il sopravvento a tal punto da influenzare la governance dell’ateneo. Che, non volendo scontentare chi protesta, decide di accoglierne (almeno in parte) le richieste. Col rischio, però, di smettere di seguire i propri legittimi obiettivi accademico-scientifici. E dare spazio a chi sostiene che la ricerca in ambito militare, che nella stragrande maggioranza riguarda tecnologie applicate ai sistemi di difesa, vada cancellata tout court. Togliendo opportunità a chi magari si iscrive al Politecnico di Torino non perché è un guerrafondaio e ha intenzione di bombardare alcunchè, ma perché forse, semplicemente, vuole provare a trovare lavoro in un settore ad alto tasso tecnologico. E che anzi spesso si adopera a trovare soluzioni per arrivare ancor prima alla tanto sbandiera “pace”.

Di più su questi argomenti:

  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.

Leave a comment

Your email address will not be published.