La messa in scena penosa e ridicola del pacifismo a guerra ormai in corso

Diversamente dalla nonviolenza, una retorica spesso ipocrita. A proposito di “Profezie bianche. Antologia del pacifismo da Erasmo da Rotterdam a Gino Strada”

Ricevo un libro intitolato “Profezie bianche. Antologia del pacifismo da Erasmo da Rotterdam a Gino Strada” (Feltrinelli, pp. 239, euro 18). Leggo in quarta di copertina: “Perché non siamo ancora guariti dalla guerra? E che cosa ci impedisce di immaginare un futuro di rispetto e nonviolenza?”. Fra gli autori antologizzati, alcuni nomi poco prevedibili: Italo Calvino, Frantz Fanon, Boris Vian. Del tutto prevedibili quelli di Elsa Morante, Leda Rafanelli, Emma Goldmann, Simone Weil, sia perché donne sia perché anarchiche.

Leggere gli argomenti più usati e ovvi a favore della pace è comunque sempre utile. Ma va distinto, credo, il pacifismo dalla nonviolenza. Quest’ultima è un altissimo ideale anche eroico che si dovrebbe trovare (e raramente si trova) in chiunque si senta, si creda e voglia essere cristiano. La nonviolenza è una religione presente in tutte le grandi religioni, ma è anche uno dei propositi più disattesi. Il pacifismo è invece spesso una retorica ideologica. Non solo è in sé discutibile. E’ anche impastato non di rado di ipocrisia, quando deve affrontare la realtà di guerre in corso. Credo che il solo pacifismo decente e accettabile sia quello di chi non solo teorizza, ma pratica la nonviolenza e se ne mostra quotidianamente capace rifiutando ciò che è alla radice di ogni violenza, cioè l’uso e il gusto di una forza superiore che costringe gli altri privandoli della libertà di scegliere. Naturalmente esiste anche un uso legittimo, naturale e necessario della forza: è quello che impedisce ai violenti di fare violenza. In questi ultimi anni abbiamo assistito nella nostra area europea e mediterranea a due guerre orribili, particolarmente spietate e crudeli, che definirei diaboliche. Prima la guerra non dichiarata ma scatenata da Putin con l’invasione militare dell’Ucraina. Poi l’assalto terroristico e vile di Hamas a Israele, studiato nei più ripugnanti e disumani abusi allo scopo di provocare la più incontenibile reazione. Così infatti è stato. Come l’attacco di Hamas non ha avuto limiti di crudeltà esibita, così la reazione di Israele non ha voluto avere limiti per durata e potenza distruttiva.

Il caso dell’invasione dell’Ucraina è stato più classico. Una grande potenza imperiale che ha ereditato la sua cultura politica dal più ipocrita e longevo totalitarismo “comunista”, decide di espandersi al di là dei propri confini occidentali per occupare una indipendente nazione postsovietica, sovrana e democratica, che ha deciso, da parte sua, di difendere la propria libertà, armi contro armi.

Ora sempre più spesso si sentono voci che si alzano a vantare il proprio pacifismo, perché la pace è il bene e la guerra è il male. Una messa in scena oscenamente penosa e ridicola, che arriva a rimproverare agli ucraini l’uso delle armi e la volontà di non sottomettersi alla violenza dell’invasore. No, invece, proclamano i virtuosi saggiamente politici: l’Ucraina non doveva essere aiutata nella sua decisione di difendersi, perché chi la aiuta ama la guerra e non la pace.

Ma il “no alla guerra” è un’affermazione che non ha sempre lo stesso significato, ne ha almeno due. Il primo è quello che ha prima che la guerra cominci e affinché non cominci. Il secondo significato è quello che ha quando la guerra è in corso e si chiede al più debole, alla vittima, di arrendersi e accettare la logica dell’aggressione. Quale pace invocano i sostenitori “pacifisti” della pace? Per definire i termini e i contenuti di questa pace astratta è inevitabile risalire alle ragioni reali o immaginarie, ragionevoli o irragionevoli, per cui la guerra è stata decisa e iniziata da una delle due parti in causa.

Nel 1943 Simone Weil sottolineava la frequente futilità e astrattezza di ciò che ha provocato le guerre. Nel caso della guerra nata dall’invasione russa dell’Ucraina, per iniziativa di un ex agente del Kgb divenuto un dittatore, il movente reale è l’ambizione imperialistica di riprendersi un paese postsovietico indipendente. Il pretesto è che un’Ucraina non russa ma vicina all’Europa sarebbe una continua, sempre potenziale minaccia alla Russia. Ma questa non è la favola del lupo e dell’agnello?

Gli attuali pacifisti parlano di pace, lodano la pace ed esibiscono una loro nobilissima contrapposizione a guerrafondai immaginari, quali sarebbero gli europei che hanno aiutato gli ucraini a combattere. Dovrebbero invece, più onestamente e realisticamente, nominare la guerra voluta da Putin. Dovrebbero dire: bisogna convincere Putin a far tacere le armi, a cessare i bombardamenti, a fermare i carri armati, i droni e l’invasione. Così non ci sarebbe più bisogno di aiutare gli ucraini a difendersi. I sedicenti pacifisti non riconoscono, non vedono l’eroico patriottismo ucraino e il loro diritto all’autodifesa dalla violenza distruttiva russa che vuole sottometterli e annichilire la loro indipendenza nazionale. Purtroppo le guerre giuste esistono, e sono quelle che si combattono resistendo alle guerre ingiuste.


Quello che si vede oggi in Italia è il pacifismo da Carnevale di chi vuole comodamente chiudere gli occhi negando la realtà di una guerra ingiusta nata dall’ostilità unilaterale di chi, come Putin, minaccia qualunque paese europeo che confini con la Russia. Se in Asia non ci fosse una superpotenza come la Cina, Putin vorrebbe estendersi anche in Asia, fino alla Mongolia. Non c’è solo Trump a volere di nuovo “grande” l’America, c’è anche Putin a volere di nuovo “grande” la Russia. I vizi e i miti storici di Russia e America non scompaiono facilmente. E la vecchia Europa è costretta in ogni modo a farci i conti.

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