Il referente italiano di Musk spacca il Carroccio. C’è chi difende il ministro Piantedosi dai suoi attacchi e chi si trincera nel silenzio fingendo di non conoscerlo
Interrogati su chi sia, cosa voglia, perché lanci sondaggi contro Matteo Piantedosi, i parlamentari della Lega fanno spallucce. “Andrea Stroppa? E chi è? E che c’importa? Che c’interessa?”. Epperò non è proprio uno sconosciuto, il referente italiano di Elon Musk. Lui che da giorni lancia sondaggi su X per sapere cosa pensi l’Italia dell’operato del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: se egli sia meglio o peggio di chi l’ha preceduto (e dunque meglio o peggio di Matteo Salvini, Luciana Lamorgese, Marco Minniti); se ci si senta più o meno sicuri dal 2022 a oggi.
E non è dunque l’ultimo arrivato, Stroppa, né un quisque de populo di “Torpigna”. Eppure nel partito del ministro dell’Interno, la Lega, tutti fingono di non conoscerlo, di non seguirlo, di non sapere chi sia. “Andrea Stroppa, chi? Non so neanche che faccia abbia”, dice al Foglio il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio. Non sa che faccia abbia, senatore, eppure tutto lascia pensare che quelle di baby Musk siano punturine al ministro Matteo Piantedosi. In sostegno, forse, di Matteo Salvini. Che intanto – non è un segreto – va alla ricerca del suo perduto amore: il Viminale. “Un attacco a Matteo Piantedosi? Il ministro non si tocca”, risponde sicuro Centinaio, che poi aggiunge: “Non lo capisco, questo Stroppa. Non capisco cosa voglia e devo dire che, lui come Musk, non mi appassiona. Lanciasse tutti i sondaggi che gli pare. Il governo va avanti lo stesso. Con o senza di lui”.
Ma ecco che ben più sfuggenti di Gian Marco Centinaio sono gli altri leghisti incalzati. Che a domanda rispondono, pressoché in coro, di non aver visto, letto, sentito niente di questi sondaggi. Lasciando trapelare se non circospezione perlomeno imbarazzo. L’enfant prodige Alberto Stefani, vicesegretario della Lega (il più giovane vicesegretario di sempre), dice di doversi coordinare con l’ufficio stampa “prima di rispondere, com’è giusto che sia”. Ma poi puf: scompare. Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon (vicesegretario anche lui), non è a Roma ed elude le telefonate. Irraggiungibile. Poi manda il messaggino con i puntini di sospensione (del giudizio): “Ma… Non mi appassionano i sondaggi…”.
Il deputato Stefano Candiani butta direttamente giù il telefono. Perché Andrea Stroppa non lo segue: “Non so niente di lui e non mi interessa niente di questi sondaggi”, taglia corto. E poi Massimiliano Romeo, segretario regionale della Lombardia e capogruppo a Palazzo Madama, che dice: “Non so niente di ‘sto Stroppa. Non lo seguo. Non sono un esperto di sondaggi e non so se ci sia un disegno contro Piantedosi in favore di Salvini. Francamente, penso a cosa più serie”. A cosa pensa, senatore? “A ricostruire il partito in Lombardia, per esempio. In ogni caso quelle di Stroppa sono domande mal poste. E’ facile dire contro Piantedosi con domande così generiche”.
Sarà. E tuttavia, mentre il nostro giro di telefonate sfocia nel vicoletto della reticenza leghista, il buon Stroppa lancia il suo terzo sondaggio: “Poliziotto di quartiere, adeguamento organico, militari nelle zone difficili, contrasto baby gang, microcriminalità e immigrazione illegale, riqualificazione luoghi di degrado. Ha mantenuto le promesse Piantedosi?”. Ecco. Ancora lui: il ministro dell’Interno. Come un’ossessione. Come una malattia. Malattia che per alcuni, però, ha diagnosi facile. Financo banale. Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, contattato da questo giornale preferisce non commentare. Ma chi ha ascoltato nei giorni scorsi i suoi ragionamenti sulla vicenda parla di “un link o più probabilmente, viste le scarse relazioni internazionali del partito con Musk, di un tifo da stadio di Stroppa per Salvini”. Che non da oggi, bensì da sempre – e più di sempre dal giorno dopo la fine del suo processo – mira apertamente al Viminale. Ovvero a disarcionare l’altro Matteo. L’usurpatore ministro dell’Interno che, come nell’epica tolkieniana consumata da Stroppa, gli ha tolto il ministero che è anche il suo “tesoro”. Comunque, se nella Lega la gara a chi è più gnorri diventa una disciplina sportiva, al Viminale fanno lunghi respiri. Colmi di pazienza. Benché a nessuno sia sfuggito il silenzio della Lega, combattuta fra la difesa al ministro (che non c’è stata se non sollecitata) e il mutismo che avvolge il sogno del capo, in quella che fu una stagione dal titolo “La sera andavamo al Viminale”.