Si cercano e si confrontano aspramente. “Gli accordi non erano questi”. L’ipotesi fusione Schlein e orlandiani divide la corrente. Franceschini corteggia il responsabile esteri del Pd in funzione anti segretaria
Cerca di fare fesso il furbo che l’ha scelta. Ferma Dario Franceschini e lo implora: “Noi dobbiamo parlare” e lui, che il giorno prima si è visto trattare da Elly Schlein come un venditore di fazzoletti, gli risponde: “E io ora devo andare”. Abbiamo assistito, per caso, alla Camera, sulle scale, all’incontro Schlein-Franceschini, una conversazione a metà tra il melodramma e il pulp, tra il bacio del quadro di Hayez e il vecchio fumazzo Dc. Franceschini gli chiede spiegazioni, parlano della corrente di Andrea Orlando, che Schlein sta scalando, gli ricorda che lui ha rinunciato a fare più grande la sua, AreaDem, e la segretaria gli replica: “Devi capirmi”. Schlein vuole metterlo in minoranza, Franceschini mettergli contro Peppe Provenzano, l’orlandiano con i calzoni corti. Si stanno contendendo il tesoro Orlando, la Mediobanca del Pd, la cassa che apre il partito.
Svapa come una forsennata, risponde al telefono, si muove sulla destra, sulla sinistra, prova a fare un giro su stessa, come nel Ballo del potere di Franco Battiato, poi si accorge, anzi, gli segnalano, che Franceschini è alla Camera e Schlein lo raggiunge. Il giorno prima lo ha scacciato dicendogli: “Sono al telefono”. Si allontanano e si mettono a discutere di correnti interne, scusandosi: “Dobbiamo ragionare di politica estera”. Quando nel Pd dicono “politica estera” significa che stanno per parlare delle prossime liste elettorali e di listino bloccato. Quando usano la frase “bisogna tutelarsi per la notte delle liste” sembra che parlino del viaggio al temine della notte di Celine, un’esperienza totale, un sabba. Schlein, che fa adesso politica di partito, feroce, come la fa Franceschini da almeno quarant’anni, farfuglia che sta avvicinando la corrente di Orlando per non fare sentire gli orlandiani smarriti, “per fare stare dentro Andrea”. L’altro la ascolta ma con un fastidio nuovo, “non erano questi gli accordi”, capisce che lo vuole fare fesso, tanto che anche lui sta proponendo a Orlando: uniamoci. Se la ride solo il conteso, Orlando, che si trova corteggiato dalla segretaria e da Franceschini. Gli chiedono, “ma è vero, che la corrente Orlando si fonde con quella di Schlein? E’ vero che anche Franceschini ti cerca?” e l’ex ministro del Lavoro di Draghi, replica che non c’è nessuna fusione con Schlein, ma un parlare sul futuro, su cosa deve essere il Pd. Schlein e Franceschini vogliono ora la sua infrastruttura, così come le grandi banche cercano di acquisire le banche cooperative, quelle territoriali, convinte che basta fare una buona proposta per prendersi una storia, un marchio. Uno come Daniele Marantelli, un simbolo del Pci in Lombardia, uno che al nord è sempre stato prima orlandiano, e poi di sinistra, per quale ragione dovrebbe far parte della corrente Schlein-Orlando o della corrente Orlando-Franceschini? Può uno come Marantelli ricevere ordini da Furfaro e Bonafoni o ancora peggio farsi dare del “franceschiniano rosso”? La storia della fusione Schlein-Orlando gira da settimane, nel partito, tanto che, tra gli orlandiani, c’è chi ha iniziato a precisare che “qualora ci fosse un’unione con la segretaria non sarebbe una sottomissione a Schlein ma l’incorporazione di Schlein alla nostra corrente”. Dicono che la corrente Orlando valga almeno il trenta per cento del partito e che Franceschini abbia provato a dire a Orlando che è necessario stare insieme, “tutelarsi”. Gli orlandiani che siedono in segreteria sono tre ma, anche solo per tradizione, sarebbero quattro, dato che Michele Fina, il tesoriere, prima di consegnarsi a Schlein, era un orlandino. Sono orlandiani il responsabile economico, Misiani, Marco Sarracino, che ha la delega alle aree interne, e il dossier Campania. E’ orlandiano, almeno nasce come “sarà il nuovo Orlando”, Peppe Provenzano, un altro figlio del partito, che una volta Orlando definì, per la sua nuova passione, l’estero, “il segretario dei due mondi”. Quando Franceschini ha capito che con Orlando non ce l’avrebbe fatta, ha iniziato a lavorare su Provenzano, e Schlein si è vendicata. Ai suoi Tarquinio, quelli che agli ucraini manderebbero al posto delle armi, mimose, dice che “la linea estera è quella decisa dal responsabile Provenzano, che è un atlantista sempre più convinto” e nel partito è tutto una malizia su Provenzano che “cena nelle ambasciate, nelle tavole italiane che contano. E’ stato accettato dalle élite. Lo sta introducendo Franceschini”. In Sicilia, una regione a guida Franceschini, dove il Pd è esploso, lui e Provenzano sono già insieme. Il Pd siciliano, il 15 febbraio, è stato commissariato e Schlein, per smontare i suoi piani, ha nominato commissario Nico Stumpo, il numero due di Speranza, il leader di Articolo 1 che con Franceschini doveva fare la corrente larga. Franceschini dicono non sarebbe stato neppure informato. Nel Pd sono rimaste solo tre vere correnti organizzate, Base Riformista, di Guerini-Alfieri, la corrente Orlando e Areadem di Franceschini. Poi ci sono le tende. C’è la tenda di Amendola e Orfini, che sta ospitando i bonacciniani in uscita, c’è Zingaretti che ha la sua amaca e che si è offerto a Paolo Gentiloni. L’unica che non ce l’ha è Schlein e ora vuole acquisirla come Unicredit vuole acquisire Bpm. Ne vuole una perché per farsi designare futura candidata premier le serve la maggioranza degli azionisti Pd. Il romanzo di Franceschini è tra i selezionati al Premio Strega, ma la vera finale è contro Schlein, la stregatta, la leader che non offre la soluzione ma che fa perdere la strada ai suoi rivali.