Come si colloca il sistema scientifico italiano rispetto alle pratiche di ritrattazione, quali elementi emergono come peculiari e quali, invece, si rivelano in linea con il contesto internazionale. L’Italia nel complesso segue i trand globali per quanto riguarda le frodi scientifiche ma presenta specificità rilevanti su alcune tipologie di cattiva condotta
Le ritrattazioni rappresentano un campione delle pubblicazioni problematiche di particolare interesse, perché “certificate” nei loro problemi: sebbene non possano direttamente dir nulla riguardo al reale tasso di problemi nella produzione scientifica, e anzi possano addirittura essere proporzionali alla facilità nell’individuare e correggere gli errori più che all’attitudine a commetterli, possono tuttavia servire da metro relativo per diverse considerazioni che riguardano l’integrità della ricerca scientifica in un paese.
L’analisi dei dati sulle ritrattazioni scientifiche provenienti dal database Retraction Watch, che raccoglie oltre 61.000 voci, consente di delineare il panorama delle ritrattazioni in Italia e di confrontarlo con la situazione globale. Questo articolo intende chiarire, sulla base dei numeri e delle evidenze, come si colloca il sistema scientifico italiano rispetto alle pratiche di ritrattazione, quali elementi emergono come peculiari e quali, invece, si rivelano in linea con il contesto internazionale.
L’Italia mostra un incremento delle ritrattazioni analogo a quello globale, con una crescita lenta fino ai primi anni 2000 e un’accelerazione significativa dal 2010 in poi. L’analisi della crescita cumulativa normalizzata delle ritrattazioni italiane e globali rivela che i due trend risultano sostanzialmente sovrapponibili. Questo indica che il sistema italiano non ha mostrato un ritardo nell’emersione delle ritrattazioni rispetto al contesto internazionale, ma ha seguito una traiettoria parallela, coerente con l’aumento generale dei controlli e delle verifiche scientifiche su scala globale. Tuttavia, le ritrattazioni italiane rappresentano circa l’1,77% del totale mondiale, valore inferiore al peso della produzione scientifica italiana, che si attesta mediamente tra il 3% e il 4% delle pubblicazioni globali. Questo suggerisce che la frequenza di ritrattazioni rispetto alla produzione complessiva risulti leggermente inferiore alla media globale, o che eventuali pratiche problematiche siano meno individuate e formalizzate in ritrattazioni rispetto ad altri paesi.
Le ritrattazioni italiane si concentrano principalmente nelle città che ospitano i maggiori atenei e istituti di ricerca. La distribuzione rispecchia il peso scientifico e la produzione accademica di queste aree, e la correlazione tra numero di ritrattazioni e volume di produzione scientifica appare sostanzialmente lineare. In altre parole, laddove si fa più ricerca, aumentano anche le possibilità che emergano ritrattazioni, come è logico attendersi. La presenza di questi poli non è dunque di per sé indice di una maggiore propensione alla cattiva condotta, ma riflette il semplice fatto che la produzione scientifica è concentrata in queste città.
Un elemento che può tuttavia distorcere la percezione del fenomeno riguarda la presenza di pochi autori con un numero molto elevato di ritrattazioni. In Italia, come in altri Paesi, si osserva che alcuni ricercatori, in particolare in ambiti biomedici e sperimentali, accumulano decine di articoli ritirati per manipolazioni di immagini o falsificazioni di dati. Questi casi estremi influiscono pesantemente sulle statistiche aggregate, facendo apparire il fenomeno più grave e diffuso di quanto non sia in realtà. È quindi essenziale distinguere tra i casi sistemici, che coinvolgono gruppi estesi di ricercatori e indicano criticità diffuse, e quelli legati a singoli individui le cui pratiche scorrette generano una moltiplicazione di ritrattazioni.
Il confronto tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e le università italiane evidenzia alcune differenze rilevanti. Il CNR conta 87 ritrattazioni, pari al 16% del totale italiano. Considerando che il CNR produce circa il 5-6% delle pubblicazioni scientifiche italiane, il tasso di ritrattazione risulta significativamente più elevato rispetto alla media delle università. Test di proporzionalità confermano che questa differenza è statisticamente significativa (p < 0,01). Le cause di ritrattazione al CNR riguardano principalmente problemi etici legati a soggetti umani (19,5% dei casi), manipolazioni di immagini (18,4%) e duplicazioni di immagini (33,3%). Nelle università italiane, invece, prevalgono il plagio e la duplicazione di articoli (circa il 25%), seguiti da frodi nel peer review e manipolazioni di immagini. Questa differenza riflette la vocazione sperimentale e biomedica del CNR, settori notoriamente più esposti a verifiche post-pubblicazione e a controlli su dati e immagini, rispetto alle università, il cui spettro disciplinare è più ampio e spesso coinvolge anche ambiti meno sottoposti a tali verifiche. La maggiore incidenza di ritrattazioni al CNR, quindi, non necessariamente indica una minore integrità, ma può essere almeno in parte spiegata dalla natura stessa della ricerca svolta e dal fatto che le aree biomediche, per la loro rilevanza e il loro impatto sulla salute, subiscono controlli molto più stringenti e continuativi rispetto ad altre discipline.
Un ulteriore elemento di complessità riguarda il ruolo delle collaborazioni tra il CNR e le università italiane. Non sempre è chiaro se una ritrattazione debba essere attribuita primariamente all’ente di ricerca o all’ateneo coinvolto, soprattutto quando le affiliazioni risultano miste. Tuttavia, è possibile verificare se la presenza di una collaborazione tra CNR e università sia associata a una maggiore probabilità di ritrattazione. I dati suggeriscono che gli articoli frutto di collaborazioni tra CNR e università presentano un tasso di ritrattazione lievemente superiore rispetto a quelli prodotti solo dal CNR o solo dalle università. Questo incremento, pur non risultando sempre statisticamente significativo in ogni sottoinsieme analizzato, indica che la dinamica collaborativa potrebbe aumentare l’esposizione a controlli e verifiche incrociate, oppure riflettere una maggiore produzione scientifica complessiva di tali lavori, che li rende più visibili e quindi più soggetti a scrutinio.
In Italia, la percentuale di ritrattazioni per frode (manipolazione di dati, immagini, peer review falsi e paper mills) si attesta intorno al 9,7%, mentre al CNR i casi di ritrattazione per frode documentata risultano sensibilmente più elevati, raggiungendo complessivamente circa il 24%. Questa differenza tra CNR e dato nazionale è statisticamente significativa (p < 0,01), ma non deve particolarmente sorprendere, visto che il tipo di frodi considerate ha maggiore incidenza nell'ambito della ricerca sperimentale e biomedica, tipica del CNR, e per così dire “diluita” fra le numerose discipline umanistiche universitarie nel resto del paese.
Nel confronto con il dato globale (6-8%), la frequenza di ritrattazioni per frode da parte di ricercatori italiani non appare significativamente diversa (p > 0,05), indicando che l’Italia, nel suo complesso, non presenta un’incidenza di frodi dirette superiore alla media mondiale. La reale peculiarità italiana sembra piuttosto riguardare l’elevata incidenza di duplicazioni e plagi, che superano il 24% delle ritrattazioni, mentre a livello globale tali cause rappresentano circa il 10-12%. In questo caso, la differenza è statisticamente significativa (p < 0,05), suggerendo una criticità peculiare del sistema scientifico italiano. La duplicazione di articoli, spesso causata da comportamenti opportunistici, pressioni di carriera o da errori nella gestione editoriale, sembra quindi rappresentare un'area di vulnerabilità specifica per l'Italia.
Un altro elemento interessante riguarda la tendenza osservata a livello globale negli articoli ritrattati, che consiste nell’avere un maggior numero di autori rispetto alla media. Gli autori italiani con una sola ritrattazione risultano mediamente meno connessi: ciascuno di essi presenta in media 9,89 collaborazioni con altri ricercatori all’interno del corpus degli articoli ritirati. Al contrario, gli autori con più di una ritrattazione mostrano una rete di contatti significativamente più estesa, con una media di 16,85 collaborazioni. La differenza tra i due gruppi è statisticamente molto significativa. Questo dato suggerisce che chi è coinvolto in ritrattazioni multiple non agisce isolatamente, ma è spesso parte di reti collaborative più ampie. Le possibili interpretazioni sono diverse: da un lato, la presenza di collaborazioni può favorire la diffusione di pratiche scorrette; dall’altro, articoli con molti coautori tendono a essere più visibili e quindi più frequentemente sottoposti a verifica; infine, collaborazioni particolarmente ampie e distribuite possono rendere più difficile il controllo diretto dei dati originali, poiché questi tendono a essere frammentati tra gruppi di ricerca diversi, con una diluizione della responsabilità individuale e una minore possibilità di verifica puntuale delle fonti primarie. Anche in questo caso, emerge la necessità di non confondere la maggiore esposizione con una maggiore propensione alla frode.
Questi dati mostrano che l’Italia, nel complesso, segue i trend globali per quanto riguarda le frodi scientifiche, ma presenta specificità rilevanti su alcune tipologie di cattiva condotta. L’elevata incidenza di duplicazioni e plagi rispetto alla media globale sembra suggerire che esistano, in alcuni contesti italiani, pratiche consolidate o tollerate di riutilizzo di lavori già pubblicati o di appropriazione indebita di contenuti. È plausibile che tali comportamenti possano derivare anche da pressioni di carriera e valutative, dove la quantità delle pubblicazioni viene spesso premiata più della qualità effettiva della ricerca.