La scelta politica, ma equilibrata, dei giudici costituzionali

Il Parlamento ha finalmente eletto i cinque membri della Consulta. Si è mosso con grande ritardo, ma le critiche sono state fin troppo severe: dimenticano che la nostra Costituzione ha previsto un equilibrio tra diverse forme di legittimazione e che la scelta può esplicarsi solo sui profili professionali prestabiliti

Le modalità con cui il Parlamento ha agito per eleggere i nuovi giudici della Corte costituzionale sono state criticate per più d’una buona ragione. Il Parlamento si è mosso con grande ritardo: basti pensare che il mandato di Silvana Sciarra, poi nominata presidente della Corte, è scaduto fin dal novembre del 2023 e quello del suo successore, Augusto Barbera, alla fine dell’anno scorso. Il ritardo ha finanche posto a rischio il quorum che dev’essere rispettato affinché la Corte possa validamente riunirsi e deliberare. E’ ancora più grave, quindi, l’assenza di numerosi parlamentari nelle riunioni finora svolte, malgrado i ripetuti appelli della Corte stessa e del presidente Mattarella. Ulteriori critiche sono state rivolte a ciò che viene ritenuto il motivo dei ritardi, ossia la complessa ricerca di equilibri tra le forze politiche o, peggio, le logiche di spartizione tra i partiti, anche a scapito del livello qualitativo dei candidati. Possono esservi state scelte meno felici di altre. Ma le critiche mosse alle scelte parlamentari sono eccessivamente severe sia sotto il profilo istituzionale, sia in rapporto alle scelte effettuate.

Lo sono, innanzitutto, perché dimenticano che la nostra Costituzione ha previsto un equilibrio tra diverse forme di legittimazione. Infatti, cinque giudici sono nominati dal presidente della Repubblica, altri cinque sono eletti dalle supreme magistrature, cioè la Corte di Cassazione, il Consiglio di stato e la Corte dei conti, mentre i restanti cinque sono eletti dal Parlamento in seduta comune. Questo equilibrio è apprezzabile in sé, perché combina la diversità di legittimazione con una varietà di profili. Lo è anche nella prospettiva comparata. Per esempio, negli Stati Uniti la nomina dei candidati spetta unicamente al presidente, pur se il Senato deve esprimere il proprio “parere e consenso”. In alcuni periodi, vi è stata una dialettica, anche serrata, tra le due istituzioni, che ha favorito l’adozione di scelte azzeccate; in altri periodi, vi sono state nomine assai discusse, tanto più che i giudici della Corte Suprema sono nominati a vita, mentre quelli della nostra Corte hanno un mandato di nove anni e ciò consente un rinnovamento continuo. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la scelta del Parlamento può esplicarsi soltanto sui profili professionali prestabiliti, diversamente da quanto accade in Francia, dove possono essere elette persone sprovviste di una formazione giuridica. Anche l’elevato quorum richiesto per l’elezione parlamentare dei giudici costituzionali pone un argine alla tirannia della maggioranza, richiede l’adozione di compromessi, che sono inevitabili nella politica.

Le critiche mosse alle decisioni parlamentari sono eccessivamente severe anche relativamente alle persone scelte. Nel passato, tra i primi giudici eletti dal Parlamento vi sono stati studiosi assai noti, come Mario Bracci, Gaspare Ambrosini e Nicola Jaeger, tra i loro successori Giuseppe Branca, Leopoldo Elia e Francesco Paolo Casavola, che poi sono divenuti presidenti della Corte. In seguito, il Parlamento ha scelto non solo professori universitari, come Valerio Onida e Ugo De Siervo, ma anche avvocati, come Giuseppe Frigo e, negli anni più recenti, Sergio Mattarella. La politica è stata capace, quindi, di fare scelte di alto profilo. Quest’oggi, è innegabile che i quattro giudici appena eletti dal Parlamento in seduta comune presentino i requisiti stabiliti dalla Costituzione. Hanno, inoltre, competenze diverse. Vi sono infatti tre professori, ossia due costituzionalisti, Massimo Luciani e Francesco Saverio Marini, e un’esperta di diritto amministrativo, Maria Alessandra Sandulli, tutti con un’ampia esperienza forense. Vi è, inoltre, un avvocato con alle spalle trent’anni di esercizio, Roberto Cassinelli. Dunque, è una decisione inevitabilmente politica e nell’insieme equilibrata.

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