La chiamata a Putin e poi a Zelensky, l’invito al Cremlino, le parole del capo del Pentagono agli europei e la presenza di Witkoff (inviato per il medio oriente) a Mosca. Ricostruzione di un negoziato a rischio di improvvisazione
Donald Trump ha parlato al telefono per un’ora con Vladimir Putin: “Abbiamo discusso di Ucraina, medio oriente, energia, intelligenza artificiale… Abbiamo concordato di lavorare insieme, molto da vicino, anche visitando le rispettive nazioni. Abbiamo anche concordato di dare inizio immediatamente ai negoziati, e cominceremo chiamando il presidente Zelensky, dell’Ucraina, per informarlo della conversazione, cosa che farò adesso”. E lo ha fatto: “La conversazione è stata significativa”, ha detto Zelensky. Joe Biden aveva smesso di parlare con Putin tre anni fa, quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, Trump è arrivato alla Casa Bianca con l’ambizione di far cessare l’attacco russo e vuole farlo a ogni costo e il capo del Cremlino lo ha anche invitato a Mosca. Prima di sentirsi al telefono con Trump, Putin ha parlato per tre ore con Steve Witkoff, l’uomo che fa avanti e indietro per conto della Casa Bianca per occuparsi di guerre e non è né un diplomatico, né un esperto militare, ma ha trascorso la vita nel mondo degli affari. A lui Trump ha affidato tutto: anche l’onere di essere il primo alto funzionario americano a incontrare Vladimir Putin dopo aver siglato il primo scambio di prigionieri di epoca trumpiana con cui è stato liberato l’insegnante accusato di possedere marijuana, Marc Fogel, in cambio del cybercriminale russo Alexander Vinnik, arrestato in Grecia nel 2017. Witkoff ha definito la liberazione di Fogel un segnale delle buone relazioni tra Trump e Putin. Delle trattative che hanno permesso lo scambio si sa poco, ma già la presenza di Witkoff in Russia indica che Washington e Mosca si stanno esercitando su un terreno negoziale che potrebbe riguardare l’accordo tra Israele e Hamas per inoltrarsi poi nella risoluzione del conflitto contro l’Ucraina. La qualifica di Witkoff non ha nulla a che vedere con la Russia, è inviato speciale per il medio oriente e sull’accordo tra Israele e Hamas e nei suoi rapporti con i russi potrebbe essere partito proprio da qui: Washington ha cercato di coinvolgere Mosca nella pressione contro Hamas, che questa settimana ha minacciato di non liberare gli ostaggi. In passato i russi hanno ospitato alcuni membri di Hamas, Mosca ha un rapporto di collaborazione stretto con l’Iran, che è tra i finanziatori del gruppo terrorista, ed è sembrato utile alla Casa Bianca rivolgersi a Putin per fare pressione e salvare l’accordo. Dopo aver discusso di medio oriente, Witkoff potrebbe aver parlato di Ucraina e preparato il campo per la telefonata con Trump.
Trump e Witkoff sono molto amici, parlano la stessa lingua degli affari, delle transazioni, del mondo immobiliare e anche del golf. Quando Witkoff parla, Trump capisce e quindi ha creduto che fosse proprio lui l’uomo più opportuno per negoziare qualsiasi accordo. L’inviato speciale per il medio oriente ha affiancato l’ex segretario di stato Antony Blinken nelle ultime settimane dell’Amministrazione Biden per tracciare i contorni della prima fase dell’accordo tra Israele e Hamas. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Witkoff è stato risolutivo, ha contrapposto il pugno sbattuto sul tavolo alla diplomazia gentile di Blinken che pure durante il suo mandato non si era risparmiato e aveva girato il medio oriente più e più volte alla ricerca di una soluzione. Il pugno non è una metafora: prima che l’accordo venisse approvato Witkoff ha cercato il primo ministro Benjamin Netanyahu di sabato, presentandosi nel suo ufficio. Quando gli assistenti del premier gli hanno risposto che era shabbat e il primo ministro riposava, Witkoff ha ordinato di chiamare immediatamente Netanyahu, indipendentemente dal giorno della settimana. Il premier si è presentato, ha parlato con l’inviato di Trump è si è sentito dire che l’accordo andava concluso prima dell’insediamento del nuovo presidente americano. In quell’occasione avrebbe sbattuto il pugno sul tavolo. Non sappiamo come si sia comportato con i mediatori qatarini ed egiziani, ma forse è stato abile a imporre un accordo al quale per mesi avevano lavorato altri.
L’inviato di Trump in Ucraina e Russia però non è Witkoff, ma Keith Kellogg, che la prossima settimana andrà a Kyiv probabilmente con dei dettagli in più su un piano per far finire la guerra. A Mosca però, nei giorni dell’accelerazione trumpiana per far finire la guerra russa – giorni che coincidono con l’avvicinarsi del terzo anniversario dell’invasione totale – il presidente americano ha mandato il suo negoziatore in chief, quello che parla il linguaggio degli affari e non della diplomazia o della guerra. Quello che pensa davvero Trump sulla fine del conflitto in Ucraina però potrebbe averlo detto il suo segretario alla Difesa, Pete Hegseth, che incontrando gli europei a Ramstein ha puntualizzato che non sarà Washington a pensare alla sicurezza dell’Europa, Kyiv non entrerà nella Nato ed è irrealistico possa tornare al suo territorio precedente al 2014. Il rischio è che siano queste le posizioni negoziali già espresse a Putin.