“L’arte? Sempre inutile, ma grande”, parola di Davide Allieri

“Creo oggetti per la sopravvivenza e il controllo”, lo scultore si racconta. Dal cinema sci-fi alla ricerca e il recupero dei materiali industriali: così trasforma il rifiuto in visioni inquietanti

Nome: Davide Allieri

Luogo e anno di nascita: Bergamo, 1982

Galleria di riferimento e contatti social:

Galerie Hubert Winter – Vienna

Instagram

L’intervista

Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Difficile a dirsi. Penso che l’arte sia sempre stata inutile, ma grande. Non ha mai avuto e non avrà mai una funzione sociale o didattica. Come tutte le forme di espressione esiste soltanto. Non cambia i governi, non sposta le masse, non educa. Nella sua totale inutilità ha però ancora e sempre lo avrà tantissimo da dire. Resiste nel tempo come nessun’altra forma, poiché si adatta sempre ai tempi pur mantenendo la sua origine.




Com’è organizzata la tua giornata?

La mia giornata si incentra sul lavoro, soprattutto quello fisico. Mi sveglio relativamente presto al mattino e dopo colazione inizio subito a lavorare in studio. Sfrutto sempre le energie del mattino per immergermi totalmente nella produzione. Facendo sculture e installazioni le prime ore della giornata sono fondamentali. La mia routine è divisa sempre in tre fasce orarie: mattino, pomeriggio e sera. Lavoro molto bene anche la sera e quindi solitamente faccio due pause lunghe nel mezzo dove riposo o lavoro al pc. Solitamente, a parte qualche eccezione, lavoro fino tarda serata. Finita la giornata in studio rientro a casa.


Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Ho molti riferimenti, visivi soprattutto. Mi piace molto fare ricerca, mi stimola sempre scoprire cose nuove. Ho molte passioni e devo dire che tutto ciò che vivo nel quotidiano concorre ad arricchire la mia produzione artistica. I miei interessi spaziano dal cinema sci-fi alle architetture brutaliste, dai manga giapponesi alla letteratura speculativa. Mi interessano dei casi specifici che studio come fenomeni a sé: il teatro di Carmelo Bene, quello di Romeo Castellucci e Bob Wilson. Poi la produzione di Boris Bidjan Saberi, fashion designer tra i più impressionanti contemporanei. Il cinema di David Lynch, David Cronenberg, Leos Carax, Shin’ya Tsukamoto, Andrej Tarkovskij e alcune serie tv come Loop o i classici anime: Akira, Ghost in the Shell ed Evangelion. Poi leggo molti autori come Mark Fisher, Timothy Morton, Nick Land. Casi specifici direi, persone più che tendenze o correnti vere e proprie, mi interesso alla ricerca e alla visione dei singoli.

Come scegli i materiali per le tue sculture e installazioni?

I materiali sono sempre frutto di un’attenta ricerca e sperimentazione che può durare anche anni. Cerco materiali con determinate caratteristiche e prestazioni; mi interessano molto i contrasti come: la leggerezza con la pesantezza, l’opacità con la trasparenza, cerco sempre dialoghi e affinità estetiche ma anche concettuali. Cerco sempre di ribaltare le caratteristiche tecniche dei materiali, piegandoli quando possibile a mio vantaggio. Sono spesso materiali comuni dell’industria: acciaio inox, alluminio, vetroresina, schiume poliuretaniche, cemento. Non mi interessano assolutamente i materiali classici del fare arte come: il bronzo, il gesso o – peggio ancora – il marmo. Ne sono fortemente allergico. Cerco sempre la sperimentazione e andare oltre quello che la quotidianità mi offre.

A che cosa stai lavorando?

Sto iniziando a lavorare ad una mostra personale che si terrà in Austria a marzo dell’anno prossimo. Producendo tutto completamente in studio i miei lavori richiedono tempo per essere realizzati. Sono in fase iniziale e dunque sto per ora solo ricercando, facendo dei test con stampante 3D e rendering. Ho le idee abbastanza chiare dell’environment che creerò per lo spazio, sto soltanto iniziando a raccogliere materiale e strutturare tutte le fasi di produzione.

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

L’inizio vero e proprio me lo ricordo ancora. Lo identifico in un evento specifico: ero molto piccolo e con la mia famiglia abitavamo in un appartamento con un bel salotto grande dove c’erano due divani uniti a formare una L dell’angolo della stanza. Mi ricordo che il pomeriggio dopo scuola quando i miei nonni erano a casa per controllarci (i miei lavoravano fino a tardi e mio fratello e io non rimanevamo mai a casa da soli), regolarmente guardando la tv si addormentavano. Io riuscivo a spostare un pochino il divano e disegnavo con pennarelli e pastelli delle visioni già distopiche, seguendo perfettamente il perimetro del divano così da non farmi scoprire una volta rispostato contro il muro. Poi nel 1990 abbiamo cambiato casa e i miei svuotando l’appartamento scoprirono il disegno dietro i divani. Da lì sia i miei che io capimmo il futuro a cui ero destinato.




Come nasce l’idea di trasformare oggetti comuni in forme aliene e inquietanti?

Vivo ai confini di Milano e mi trovo a incrociare spesso immondizia e spazzatura di ogni genere. Alcune vie nella mia zona sono vere e proprie discariche a cielo aperto. Mi è venuto spontaneo, avendo a disposizione tantissimi oggetti di qualsiasi tipologia, raccoglierli e portarli in studio. Quello che cerco di creare con la scultura sono dei dispositivi per la sopravvivenza, il controllo, per la protezione e l’isolamento fisico. Oggetti potenziali: attivati e abbandonati o mai utilizzati in attesa che qualcuno li ripristini. Sono dunque un mix tra realtà (oggetti ritrovati) e finzione (oggetti modificati) all’interno sempre di un paesaggio dell’abbandono in cui l’uomo è solo un vago ricordo.

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Luogo necessario. È il mio covo, il mio bunker, lo spazio in cui posso chiudermi e non avere rapporti col mondo esterno per settimane intere. È lo spazio in cui la magia del fare prende forma. Luogo di pensiero e di azione. Lo studio è il riflesso dell’artista, delle sue ossessioni, delle sue visioni più profonde e intime, della sua complessità. Ma è anche luogo di lavoro e di impegno quotidiano in cui il tutto prende forma.

Lo studio è il mio habitat.

In che modo il cinema e la fantascienza influenzano la tua pratica artistica?

Direi che influenzano la mia pratica totalmente. Sono la mia passione più grande e non solo, il cinema è fonte di ricerca e ispirazione. Spesso guardando i film mi capita di bloccare l’immagine e stampare il frame per poi riprodurlo con il disegno, oppure stampo una serie di frame come punto di partenza per creare una scultura. Oppure leggo un racconto di J.G. Ballard e mi appunto dei pensieri o delle visioni su un pezzo di carta o sull’Iphone. La passione, per quanto mi riguarda, si trasforma sempre in studio.

Le opere

Davide Allieri, ZONA, 2023, vetroresina, documentazione studio, courtesy dell’artista

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Davide Allieri, FOSCOFUOCO, 2023, vetroresina, documentazione studio, courtesy dell’artista

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Davide Allieri, TX9KD_POD Seats, 2023, vetroresina, documentazione studio, courtesy dell’artista

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Davide Allieri, DR_01 77KMZ, 2024, vetroresina, acciaio, gomma, alluminio, cavi, documentazione studio, courtesy dell’artista

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Davide Allieri, Hoxygen Helmet, 2024, vetroresina, acciaio, gomma, alluminio, cavi, documentazione studio, courtesy dell’artista

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Davide Allieri, Satellite System, 2023, vetroresina, acciaio, gomma, alluminio, cavi, courtesy Galerie Hubert Winter, photo di Simon Veres

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Davide Allieri, Lost In The Shell, serie, 2023, pastello, vetro resina, 160×120 cm, courtesy Galerie Hubert Winter, photo di Simon Veres

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Davide Allieri, Lost In The Shell, serie, 2024, pastello, vetro resina, 160×120 cm, courtesy Kraupa-Tuskany Zeidler, photo di Marjorie Brunet Plaza

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Davide Allieri, Communication System, 2024, vetroresina, acciaio, cavi, gomma, photo di Gianluca di Iola

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Davide Allieri, TX9KD_POD, 2024, vetroresina, acciaio, cavi, gomma, photo di Gianluca di Iola

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