Il disco post incidente di Jovanotti serba un tasso sentimentale vertiginoso. E arriva pure il tour “PalaJova”

Dopo la traumatica esperienza a Santo Domingo, il cantautore romano ha raggiunto il traguardo del ricominciare a fare ciò per cui è stato progettato. Più che un album è un incontro, intimo e confessionale, con Lorenzo: l’ex ragazzo che ha messo sempre al primo posto la sincerità

Ci sono molte cose, molti temi, dentro e attorno a “Il Corpo Umano”, nuovo album di Jovanotti. In testa a tutto, ovviamente, la questione della rinascita, la traumatica esperienza esistenziale dei 18 mesi dopo l’incidente in bicicletta a Santo Domingo, che in un certo senso ha tagliato in due la vita di Lorenzo, generando un prima – adesso in un certo senso inafferrabile – e un poi, che è il luogo della ripartenza con quanto di doloroso e di emozionante porta con sé. E poiché Jovanotti fin da quando era piccolo è sempre stato un individuo spontaneamente “social”, ben prima dei network, per lui è stato naturale condividere con chi gli vuole bene questo percorso difficilissimo e spinoso, descrivendone una buona dose e certamente tenendone per sé la parte più oscura.

“Il Corpo Umano” è disseminato d’indizi di questo racconto, invita l’ascoltatore a riconoscerli, a intuire le fasi di quell’inattesa e spaventosa vicenda esistenziale. Ma adesso per Lorenzo è raggiunto – e non è stato facile – il traguardo del ripresentarsi, del ricominciare a fare ciò per cui è stato progettato, ovvero la rappresentazione totale della musica, con partiture, idee e testi, e soprattutto messinscena, quella per cui serve il corpo che funzioni a dovere, anche quando non si è più ragazzi, però si è una celebrità accertata, di quelle praticamente perenni, che occupano l’immaginario e il tempo di chi le segue con passione. Ed ecco il momento delle prove per “PalaJova”, il tour che lo porterà in giro per le arene nazionali, dove i fan andranno a trovarlo con un’emozione in più, oltre a quella di ascoltarlo, ossia quella di vedere come sta, come si muove, quanti segni ha lasciato il destino sul loro prediletto, per poi discuterne per giorni, aggiornando il proprio modo di rapportarsi a lui.

C’è da credere perciò che Lorenzo nelle ore che anticipano il ritorno sia nervoso e impaziente, anche se sappiamo tutti che saprà essere all’altezza, perché se c’è uno esigente con se stesso è lui, capace di crescere, evolvere, cambiare, adattarsi, ripensarsi. Ed è logico e giusto che, nei dintorni di questo secondo avvento, Jovanotti se ne esca con il frutto puramente musicale di questo periodo e di queste esperienze, ovvero le canzoni scritte per esternare ciò che ha attraversato, poco alla volta allargando il quadro in una dimensione universale che abbraccia il suo passato e il nostro comune futuro. Tutto ciò fa sì che “Il Corpo Umano” sia un lavoro discografico con un tasso sentimentale vertiginoso, per tutto ciò che l’autore ha voluto e sentito di metterci dentro, plasmando sotto forma di melodie e ritmi il groviglio di ragionamenti, tensioni, folgorazioni, rimembranze ed epifanie che l’hanno attraversato in questo periodo d’isolamento, chiuso nell’unico nucleo che poteva dargli forza e sicurezza, quello dell’amore e dei legami assoluti.

Ed ecco che così si genera il canzoniere de “Il Corpo Umano” e, man mano che si snocciola, le impressioni che provoca sono benigne, perché si sente con disarmante chiarezza che questo non è un album come gli altri, realizzati per portare avanti una produzione e un mercato, ma somiglia più a un incontro, intimo e confessionale, con Lorenzo, l’ex ragazzo che non se l’è mai tirata e ha sempre messo al primo posto la comunicazione, la sincerità, la connessione, il contatto. E’ questa la sua mistica, è questa la metafisica che lo attraversa da sempre, all’inizio inconsapevolmente, poi in modo sempre più avvertito. E perciò, ascoltando il disco, aspettatevi il prevedibile diluvio di parole jovanottiane, di concetti, agnizioni, suggerimenti, ricordi, rime baciate, la cascata verbale che lui ha saputo progressivamente modulare dal rap degli inizi in forme cantate sempre più competenti, curando con efficacia crescente il cesello della parola musicale e il sua adattamento alla forma melodica.

Produttivamente stavolta Lorenzo ha fatto una scelta multipla: il sempre efficacissimo Dardust, maestro dei ritmi capace di spaziare ben oltre la prevedibilità, come piace a lui; poi Michele Canova, il collaboratore storico che ne ha accompagnato la svolta pop, molti anni addietro; e Federico Nardelli, talento alle spalle di Ligabue e Fulminacci, capace di un’agile impronta indie. Sedici pezzi, perché se non è torrenziale Lorenzo non è contento (e già si annuncia il volume 2, a completare l’architettura della ricostruzione) e per una volta ci piacerebbe vederlo struggersi per darci un album da otto tracce e trenta minuti, contorcendosi per renderlo perfetto. Qui invece è tutto tanto, mutevole, variabile, un viaggio nella vitalità di Lorenzo e nella sua sterminata dimensione sentimentale. Ed è un disco che sa farsi amare, magari un po’ con lo spirito dei superstiti sulla scialuppa, che si guardano in faccia con la coperta sulle spalle, percepiscono un’enorme confusione, ma anche la netta sensazione d’avercela fatta, meritandosi la chance di vedere cosa ancora può succedere dopo.

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