La giornalista in sciopero della fame da 23 giorni è il simbolo di una protesta da sostenere forte. Il suo volto è comparso sui cartelloni di chi da 69 giorni, ogni sera, scende in strada chiedendo nuove elezioni
Ieri un gruppo di giornalisti si è riunito davanti al Parlamento georgiano prima del solito – le manifestazioni contro il governo sono l’appuntamento quotidiano dopo il lavoro – ma non avevamo quasi nemmeno cominciato che sono stati malmenati, tirati per i capelli, gettati in terra, dispersi dalla polizia. Erano lì per Mzia Amaghlobeli, fondatrice e direttrice di due testate indipendenti, Batumelebi e Netgazeti, in carcere da 23 giorni e in sciopero della fame da altrettanto tempo, in condizioni di salute critiche. Mzia – il suo nome compare sui manifesti, sui muri, è il simbolo dell’ingiustizia e della violenza che subisce il popolo georgiano – è stata fermata dalla polizia di Batumi, sul Mar Nero, perché stava appiccicando degli adesivi con su scritto “sciopero”: è stata rilasciata poche ore dopo, ma uscendo dalla stazione di polizia si è imbattuta nel comandante, Irakli Dgebuadze, che stava cacciando via o tentando di arrestare i colleghi di Mzia che si erano presentati per chiedere il suo rilascio.
Vedendola, il poliziotto in capo della città, spesso citato nelle inchieste di Batumalebi, ha preso a strattonarla e insultarla, Mzia ha reagito ed è stata riarrestata – è ancora in carcere. L’unica e ultima volta che abbiamo rivisto Mzia è stato tre giorni dopo, dietro le sbarre nell’aula di tribunale dove c’è stata la prima udienza del suo processo (rischia da 3 a 7 anni di prigione): in mano aveva l’edizione georgiana del libro del premio Nobel Maria Ressa “Come resistere a un dittatore” (Ressa ha ripreso l’immagine e ha scritto su X: “Libertà alla Georgia”). Mzia ha iniziato lo sciopero della fame, il suo volto è comparso sui cartelloni delle proteste che vanno avanti da 69 giorni, ogni sera, la sua liberazione – assieme a quella dei tantissimi che sono stati arrestati ingiustamente in queste settimane – è diventata una delle richieste dei manifestanti, che chiedono anche nuove elezioni. Il partito al governo, Sogno georgiano, dice di aver vinto le scorse elezioni, il 26 ottobre, ma ci sono le prove – di istituti indipendenti – che non si sono svolte in modo legittimo, naturalmente ignorate da questo regime che, violando la Costituzione, ha sospeso il processo di adesione della Georgia all’Unione europea: è stato quello il momento, il 28 novembre, in cui i georgiani si sono sentiti ingannati e che hanno deciso che non si sarebbero più fermati fino a quando avranno la possibilità di esprimere di nuovo il loro voto.
Anche molti paesi stranieri hanno chiesto la liberazione di Mzia, ci sono richieste ufficiali e presidi popolari, ma Sogno georgiano ignora anche questi: ieri davanti al Parlamento in sessione, i giornalisti che protestavano per Mzia sono stati dispersi, Natalia Leverashvili, che lavora al sito di informazione Publika, è stata malmenata e tirata per i capelli, alcuni sono stati arrestati. Gli “Amici della Georgia” hanno pubblicato ieri un appello in cui chiedono la liberazione di Mzia e “degli altri 52 giornalisti detenuti, così come i tanti prigionieri politici che sono stati arrestati all’interno di una repressione del terrore contro la democrazia, i diritti civili e il futuro euro-atlantico della Georgia”. Mzia non sta avendo l’attenzione medica necessaria, dicono i firmatari che dicono di non volersi far abbindolare dai “tentativi della leadership di Sogno georgiano di distorcere le circostanze che hanno portato all’arresto di Mzia e di annichilire la sua credibilità definendola ‘finanziata dall’estero’”.
Lo schema del governo è sempre lo stesso – è un format di ispirazione russa – e prevede di gridare al complotto dell’occidente e alle provocazioni dei manifestanti, che invece sono pacifici (è una cosa cui i georgiani tengono, anche la Rivoluzione delle rose fu pacifica ed ebbe successo) e subiscono la repressione. E anche il disprezzo dei leader di Sogno georgiano, come dimostrano le parole del capogruppo al Parlamento di Tbilisi, Mamuka Mdinaradze, che ha detto due giorni fa: “La fame porta alla morte”, alludendo allo sciopero di Mzia, e “basta che si rimetta a mangiare ed è tutto finito”. A fronte del sopruso, molti governi tendono a minimizzare, fare finta di niente, continuare il business as usual, ma il silenzio è complicità con un governo che usa la violenza contro i suoi cittadini e ha chiuso loro la porta dell’Europa. I georgiani non hanno intenzione di fermarsi, noi abbiamo il dovere di sostenerli.