Era furbo e mirava una gran carriera ma la politica lo ha tradito e calpestato quanto lui aveva tradito e calpestato la politica. Ora prevale un suo tratto umano di ordinario cittadino, quello che lo ha portato a mostrarsi per ciò che è realmente, ovvero un fascista longanesiano
Ma quanto è diventato simpatico Antonio Di Pietro ora che ha perso tutto quel che si poteva perdere? L’ultima sua vittoria è quella contro di me al Mugello, l’anno prossimo sarà il trentennale, vittoria non sorprendente, gli stessi voti di un Pino Arlacchi in un collegio blindato, ma totale (persi per molte ragioni, non ultima che mia moglie fumava i Ganesh Beedies e le platee di Fiuggi, per quanto riformate, pensavano fosse erba). Lui era un uomo e un candidato in fuga permanente, c’era chi lo proteggeva, illusi, come Prodi Veltroni D’Alema e molti altri, che poi fecero i conti con lui e con la sua Italia dei valori. Per non parlare degli elettori desiderosi di darmi una legnata, che arrivò malgrado le mie invasioni delle Case del popolo, e subito si convertì in un clamoroso tradimento dei loro valori, un’Italia mugellana dei disvalori. Ma è acqua passata. (Mi restano due ricordi magnifici del Cav., che mi rimproverò di avergli fatto fare un comizio in paletot, come Lenin sulla Piazza Rossa, e invocò una platea di Borgo San Lorenzo con un “Elettori del Mugello!”, al quale questi replicarono, “Ma siamo di Ravenna!”).
Non è vero che Tonino si sta vendendo alla destra, d’altra parte da sempre il suo brodo di cultura. Dice in collegamento cose di assoluto buon senso, parla da un altro pianeta, quello delle braccia restituite all’agricoltura, quello nazional-paesano, sorridente maschile e vernacolare, in cui una reputazione compromessa in politica si può agevolmente ricostruire non soltanto in virtù della smemoratezza delle nostre genti, anche per buone ragioni pragmatiche, ragioni che ci azzeccano. Bene la separazione delle carriere, la vera riforma Meloni. Bene il sorteggio per il Csm, la riforma Nordio. Il torturatore doveva essere cacciato in galera, ma è un fatto politico, non penale, averlo espulso con la comodità di un volo di stato per proteggere la sicurezza nazionale. E così via.
Di Pietro molisano e governativo ammicca al sé stesso di una volta, che era un tipaccio di poliziotto e magistrato abile nel far mettere le manette al Ghitti di turno, che confesserà di non aver avuto alternative giuridiche garantiste al bollino sui mandati di cattura, capace di infliggere sofferenze inaudite ai miei amici della banda degli onesti, capi e sottocapi di partito, e con essi alla Repubblica costituzionale, che tornerà quando si dissiperà il ricordo della viltà e le immunità saranno felicemente ristabilite, magari in nome della separazione delle carriere tra legislativo e giudiziario. Non era un cavallo di razza, ma nemmeno un brocco, vista la formazione scarsa che affascinò l’Italia del turismo manipulitesco. Era furbo, anzi proprio scaltro, e mirava a una gran carriera. La politica lo ha tradito e calpestato almeno quanto lui aveva tradito e rozzamente calpestato la politica, e ora prevale un tratto umano di cittadino ordinario, di vecchio ragazzo proverbiale di provincia, pronto a rimettersi in carreggiata, altro che svendita, e a manifestarsi per quello che è sempre stato: un buon fascista longanesiano.