La recensione del libro di Cormac McCarthy edito da Einaudi, 144 pp., 15,50 euro
Uscita a poco di un anno dalla scomparsa dell’autore, quest’opera drammaturgica assume un inevitabile sapore testamentario, emblematico se non di tutta una produzione almeno di una sua parte importante. L’ambientazione (il profondo sud), i temi (una modernità rappresentata come forza nichilista), la scarna rusticità dei dialoghi, sono aspetti diventati proverbiali di McCarthy. In più, nella vicenda del protagonista, il trentaduenne Ben Telfair, il quale decide di mettere da parte i brillanti studi in Psicologia per appropriarsi del mestiere di scalpellino dal nonno, si potrebbe anche vedere una sorta di autoritratto implicito, da parte di uno scrittore il cui lavoro sembra effettivamente simile al paziente lavorio della pietra grezza e ruvida.
La vicenda si svolge all’inizio degli anni 70, a Louisville, nel Kentucky. I Telfair sono una grande famiglia dove all’inizio sembra regnare un qualche equilibrio tra le quattro generazioni che abitano la vecchia casa vittoriana situata nei quartieri neri della città, in nome di una segregazione ancora di là dallo svanire. Lentamente però sono le spinte centrifughe a prendere la meglio. Soldier, il sedicenne nipote di Ben, scappa di casa, rendendosi irreperibile, mentre il padre, Big Ben, un imprenditore che ha scelto il cemento in nome dei soldi facili, finisce invischiato nei debiti con le banche arrivando ad umiliarsi chiedendo aiuto al figlio, il quale però glielo rifiuta.
Mentre si avanza nella lettura si avverte, come spesso accade in McCarthy, una spinta disgregatrice, un’entità maligna prendere il sopravvento, senza che nessuno dei personaggi possa controbilanciarne gli effetti deleteri.
Se una parte consistente del fascino delle sue opere risiede nella capacità di fondere riflessioni filosofiche sul senso dell’esperienza umana con dialoghi che impattano sul lettore per la loro crudezza, nel Tagliapietre assistiamo, con lo sdoppiamento del ruolo del protagonista, Ben, a una separazione di questi due elementi. Da un lato egli è il narratore che si riserva uno spazio a margine dello sviluppo del dramma per riflettere su alcuni temi, dall’altro è un personaggio a sua volta.
Una scelta drammaturgica impegnativa, senonché in soccorso di qualche regista volenteroso potrebbero venire gli esempi di certi memorabili adattamenti letterari di Ronconi da Nabokov piuttosto che da Gadda e chissà che non possa essere proprio l’Italia il luogo in cui quest’opera riesca anche sulla scena a sprigionare tutta la sua forza.
Cormac McCarthy
Il tagliapietre
Einaudi, 144 pp., 15,50 euro