I Grammys dello scontento. La musica americana vive lontana anni luce dal paese che la sostiene

Beyoncé e Lamar trionfano, Swift e Eilish a mani vuote. La politica sul palco, il nudo di Bianca Censori e una Hollywood che non incide più sulla società. Tra proteste velate e trionfi simbolici, l’industria musicale si scopre slegata dal paese reale

Quelli del 2025 sono sembrati i Grammys del mugugno e c’è da scommettere che con gli Oscar del cinema tra qualche settimana sarà pure peggio. Con Donald Trump appena insediato alla Casa Bianca, l’ambiente dello showbiz americano si presenta stordito e riprende a manifestare il proprio scontento come fece lungo tutto il corso della prima presidenza, senza che questa prolungata ostilità abbia in fondo mai sortito effetti efficaci, al di là di una formale, esibita chiamata alla mobilitazione. Diverse tra le popstar a cui è stato concesso l’uso del microfono nella notte dei premi a Los Angeles – da Gaga che ha parlato di transgender, a Shakira che ha detto: “Dedico il premio a voi fratelli e sorelle immigrati in questo paese. Siete preziosi e combatterò per voi” – si sono affannate a ricordare che la questione dei generi, svillaneggiata dal neopresidente all’esordio, non andrebbe nemmeno vagamente rimessa in discussione e che l’arte è il campo di gioco della libertà di espressione e di autodeterminazione – sebbene a fine nottata da nessuna di quelle bocche sia mai stato pronunciato il cognome di Trump, eterno convitato di pietra dello spirito di americanità in questo presente.



Si può essere certi che col passare del tempo, come successo in passato, le prese di posizione si struttureranno al di là questi appelli accorati, ma resta il fatto che il trionfo di Trump sia stato anche la disfatta dell’America liberal che spadroneggiando a Hollywood s’illudeva di costituire un vero potere d’influenza negli Stati Uniti del presente. Il bello poi è che mai come in questa edizione i Grammys più importanti sono andati in direzione di artisti che dell’America offrono un’intensa rappresentazione anti-trumpiana: vale per Beyoncé, vincitrice dell’alloro-principe, quello per il miglior album, assegnatole per “Cowboy Carter”, il suo progetto di contaminazione con la musica country, rompendo un lungo digiuno (per quattro volte nominata, mai vincente) che lei stessa confessava di soffrire assai. Il figlio di Los Angeles Kendrick Lamar, rapper impegnato e sempre più teso a un’interpretazione sociopolitica e letteraria di quel suono, ha fatto incetta di statuette – per la canzone dell’anno (“Not Like Us”), il video dell’anno, la performance dell’anno e almeno un altro paio di categorie. Da notare anche come il riconoscimento come migliore nuova artista sia andato a Chappell Roan, figura-bandiera dell’ultima queer culture, apparsa in scena in groppa a un pony rosa. Quindi quello per la migliore performance pop a Sabrina Carpenter – la bionda in motoscafo del tormentone “Espresso” – incarnazione dell’adagio che c’è una speranza per tutti, anche quando madre natura è avara di doni espressivi, mentre lascia malinconicamente attoniti la notizia che la conservatrice giuria dei Grammys abbia assegnato il premio per il miglior album rock agli ottuagenari Rolling Stones e quello per la musica alternativa a St.Etienne, sulla scena da un ventennio buono.



E almeno una nota va spesa sul fatto che le grandi sconfitte di questi Grammys 2025 siano le inarrestabili trionfatrici di appena ieri, ovvero Taylor Swift e Billie Eilish, incarnazioni di un girl power consapevole e convinto, che però escono a mani vuote dalla premiazione, nemmeno fossero il racconto di un modello superato di America.



Alla fine, in ogni caso, il gesto destinato a essere ricordato di questa edizione è il nudo integrale, senza trucchi e senza inganni, ostentato orgogliosamente dall’australiana Bianca Censori, trentenne consorte di Kanye West, che fu re del rap americano, di cui adesso costituisce un imbarazzo vivente. Il bello è che, dopo le foto sul red carpet davanti a una torma di paparazzi impazziti, Bianca e K mica sono entrati a vedere lo show, ma se ne sono andati a casa, dove peraltro riposa la collezione di 24 Grammys dell’artista pazzo.



Concludendo, lo show è stato fastoso e divertente, la raccolta fondi per sostenere la Los Angeles ferita sarà andata a gonfie vele e la palpabile sensazione è che in questo momento la musica americana viva lontana anni luce dalla realtà del paese che la sostiene e che in rarissimi casi prova a raccontare. Il resto è pulviscolo social, scaglie di celebrità, istanti di nervosa visibilità, prima di una galleria oscura e di lunghezza sconosciuta.

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