Dalla brutale violenza fisica alle più insidiose discriminazioni quotidiane, è sempre più preoccupante la situazione di coloro che soffrono a causa della propria fede cristiana nel 2024. Tredici paesi si distinguono per una persecuzione estrema e 4.476 uccisi in totale. Statistiche su cui regna una forma di omertà: l’indice di Portes Ouvertes
“Basato su fonti rigorose, l’Indice globale delle persecuzioni cristiane di Portes Ouvertes è uno strumento prezioso per quantificare e contestualizzare le violenze subìte dai cristiani a causa della loro fede”, scrive lo storico Marc Knobel sulla Revue des Deux Mondes. “L’Indice rivela non solo l’entità del fenomeno, ma anche la sua complessità, andando oltre le semplici statistiche per comprendere i meccanismi sociali, politici e culturali sottostanti”. L’edizione 2025 aumenta la nostra consapevolezza della portata e della gravità di questa persecuzione.
Portes Ouvertes definisce la persecuzione dei cristiani come qualsiasi ostilità motivata dall’identificazione con Gesù Cristo. Essa assume molte forme, dalla brutale violenza fisica alle più insidiose discriminazioni quotidiane. L’Ong basa il suo lavoro su fatti documentati e verificabili. Tuttavia riconosce i limiti del suo censimento, in particolare nelle zone di conflitto dove l’accesso alle informazioni è limitato. Inoltre, molti casi non vengono denunciati, creando una significativa “cifra nera”. La violenza sessuale, spesso taciuta per paura della stigmatizzazione, e i crimini nascosti dalle famiglie per proteggere la comunità, contribuiscono a sottostimare la reale portata del fenomeno.
Dal 1993, Portes Ouvertes stila ogni anno una classifica dei 50 paesi in cui i cristiani subiscono le persecuzioni più gravi. L’edizione 2025, che fotografa la situazione nel 2024, rivela un panorama preoccupante. Tredici paesi si distinguono per una persecuzione estrema: Corea del Nord, Somalia, Yemen, Libia, Sudan, Eritrea, Nigeria, Pakistan, Iran, Afghanistan, India, Arabia Saudita e Myanmar. Dal 14° al 50° posto, un ampio gruppo di paesi che include nazioni di ogni continente, dal Mali al Ciad, dalla Cina al Nicaragua, è responsabile di gravi persecuzioni. Di queste 50 nazioni, 16 sono considerate arabe, tra cui Yemen, Libia, Sudan, Arabia Saudita, Iraq, Siria, Algeria, Marocco, Mauritania, Oman, Tunisia, Egitto, Qatar, Comore e Giordania. Nei paesi arabi, i cristiani stanno affrontando una crescente persecuzione, che va dalla discriminazione sociale alla violenza estrema. L’ascesa dell’islamismo politico e di gruppi terroristici come Daesh ha aggravato la loro situazione, minacciando la loro stessa esistenza in regioni dove sono presenti da millenni. Inoltre, 33 di questi paesi sono membri dell’Organizzazione della Cooperazione islamica (Oic). Nei paesi dell’Oic, i cristiani sono spesso vittime di una repressione sistematica, in cui la loro fede è criminalizzata e i loro diritti fondamentali calpestati. Questa persecuzione, alimentata da ideologie estremiste e regimi autoritari, trasforma la pratica della fede in un atto di coraggio, esponendo milioni di credenti a violenze inaudite e all’isolamento.
Questa mappa rivela anche un complesso mosaico dei regimi politici. Stati autoritari a partito unico come la Corea del Nord e la Cina esercitano un controllo totale sulle pratiche religiose, mentre i modelli socialisti di Cuba e Vietnam mantengono restrizioni simili. Questa diversità sottolinea la natura adattiva e multiforme della persecuzione. Alla conferenza stampa organizzata da Portes Ouvertes il 14 gennaio 2025, Ayuba Matawa, pastore da 32 anni nella regione di Bokkos, in Nigeria, ha parlato delle atrocità subite dai cristiani. Ha raccontato eventi tragici, tra cui il Natale nero del 2023, quando 300 cristiani furono massacrati al grido di ‘morte agli infedeli’ e ‘Allah Akbar’. E ha ricordato un incidente particolarmente scioccante in cui ‘degli estremisti hanno bruciato vivi un pastore, sua moglie incinta e i suoi cinque figli’.
Nel 2024, più di 380 milioni di cristiani, ovvero uno su sette, sono stati esposti a gravi persecuzioni e discriminazioni. Se guardiamo più precisamente in ogni continente, questa cifra equivale a un cristiano su cinque in Africa, due su cinque in Asia e uno su 16 in America latina. Le informazioni raccolte sul campo da Portes Ouvertes rivelano le seguenti cifre: 4.476 cristiani uccisi, di cui 3.100 in Nigeria. L’Indice rivela una sovrarappresentazione dei paesi dell’Africa subsahariana in cima a questa classifica, illustrando le conseguenze delle insurrezioni jihadiste che hanno colpito la regione. In Nigeria, gli attacchi assumono la forma di incursioni nei villaggi, omicidi, rapimenti, stupri e distruzione di proprietà. I gruppi terroristici Boko Haram e Iswap (Stato islamico) rimangono attivi, rapiscono i cristiani, uccidono gli uomini e rapiscono le donne per trasformarle in schiave sessuali.
Numerosi gruppi jihadisti legati ad Al Qaeda o allo Stato islamico sono attivi nella regione del Sahel, in particolare in Burkina Faso e Niger; 7.679 chiese o proprietà pubbliche cristiane (scuole, ospedali, cimiteri, ecc.) distrutte, saccheggiate, danneggiate, incendiate, chiuse con la forza o confiscate; 4.744 cristiani detenuti per la loro fede, rispetto ai 4.125 dell’anno precedente. Questa cifra comprende detenzioni arbitrarie, arresti, condanne e imprigionamenti; 3.775 cristiani rapiti o dati per dispersi; un aumento dei casi di abusi sessuali (3.123 casi registrati, rispetto ai 2.622 dell’anno precedente) e di matrimoni forzati (821 casi registrati, rispetto ai 609 dell’anno precedente) per motivi legati alla fede cristiana delle vittime; 54.780 cristiani vittime di abusi fisici o psicologici; 8.284 commerci appartenenti a cristiani sono state attaccati; più di 26.000 cristiani sono stati costretti a scappare dal proprio paese per sfuggire a persecuzioni insopportabili che li mettevano in pericolo; infine, l’Indice 2025 mostra che i cristiani sono sempre più isolati a causa dell’invisibilizzazione della Chiesa, costretta alla clandestinità in molti paesi. In Iran, ad esempio, i convertiti al cristianesimo (diverse centinaia di migliaia) si riuniscono in segreto, rischiando di essere arrestati durante le retate della polizia. Quando lo sono, rischiano pene detentive pesanti per ‘aver minato la sicurezza nazionale’ o per ‘culto sionista’ (…).
Alcuni considerano forse le vittime cristiane come semplici statistiche, mentre altri si sentono impotenti di fronte a questa realtà. Sembra regnare un’omertà. La menzione di queste persecuzioni religiose mette a disagio molti commentatori e associazioni, che preferiscono tacere per paura di strumentalizzazioni politiche. Tuttavia, se la prudenza è necessaria, il silenzio è un errore (…). Ignorare la sofferenza quotidiana di queste persone, senza protestare o intervenire, equivale ad abituarsi a una triste realtà, a non vedere, muoversi o gridare più. Gli stati canaglia, le organizzazioni complici e i gruppi armati jihadisti che orchestrano questa persecuzione traggono vantaggio dal nostro silenzio. Il silenzio indifferente diventa così silenzio complice. Per questo, è imperativo alzare la voce e resistere”.
(Traduzione di Mauro Zanon)