La ragionevolezza, la concretezza e la chiarezza non sono necessariamente modalità di fare politica di chi si arrende, il consenso è l’elemento necessario per far avanzare qualsiasi tipo di battaglia. E’ tornato il momento di essere concreti, pragmatici e riaggermare i diritti di cittadinanza
Nove anni fa, il movimento Lgbt italiano scendeva nelle piazze armato di orologi da notte, con l’intento di risvegliare il paese sul tema del riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Quei cortei erano composti non solo da persone Lgbt, ma anche da cittadini che, pur non direttamente coinvolti, sostenevano la causa. Era un movimento che trovava consensi trasversali: dalla sinistra, al mondo cattolico e centrista, fino a settori illuminati della destra, intellettuali, giornalisti e accademici, oltre a tantissimi cittadini comuni. L’ansia che si aveva non era quella di quanto duri e puri apparire o quanti like ottenere nelle dirette social, ma di quale legge riuscire a portare a casa: intorno a noi sentivamo il calore della gente comune, che capiva la ragionevolezza delle nostre rivendicazioni. Era un movimento di popolo, perché popolare.
Nove anni dopo, è un altro mondo. Abbiamo ottenuto le unioni civili, ma siamo andati ben oltre. Abbiamo iniziato a copiare le rivendicazioni di oltre oceano, leggendo con ammirazione che i sessi erano più di due, che si dovevano avere bagni di genere neutro, che la fluidità di genere doveva diventare legge di stato, che le donne biologiche dovevano essere definite come persone che mestruano per non offendere nessuno, che esisteva un diritto alla filiazione da parte delle coppie omosessuali maschili e così via. Giorno dopo giorno, si è fatta strada l’idea tra noi che non bastava chiedere leggi contro le discriminazioni e per il matrimonio egualitario oppure una modifica della legge sulle adozioni e sulla legge 164/82 sulle persone transessuali – battaglie su cui avremmo potuto trovare al nostro fianco milioni di cittadini – ma che bisognava andare oltre. Gestazione per altri, schwa, asterischi e fluidità sono diventate le nostre parole d’ordine e i nostri campi di battaglia. Parcellizzare i diritti è diventato il nostro mantra, quando la garanzia dei diritti universali è sempre stata la nostra bussola. Quanti ponevano dubbi venivano tacciati di omofobia e transfobia, con una violenza incompatibile con la nostra storia e modalità escludenti incompatibili col nostro Dna. E ci siamo consolati di avere milioni di persone ai nostri pride, senza renderci conto che se i partecipanti avessero davvero letto le piattaforme di quelle manifestazioni, se ne sarebbero state in larga parte a casa: non necessariamente perché non le avrebbero condivise, ma perché non le avrebbero neppure comprese.
Oggi ci troviamo con una potentissima e temibile internazionale reazionaria che ha infuso paura anche su questi temi e che ne ha fatto una battaglia ideologica. Con l’elezione di Donald Trump, negli Stati Uniti assistiamo a un clamoroso arretramento sui diritti civili. In una sola settimana, il neo presidente ha già firmato due executive order che smantellano in un colpo solo anni di progressi per la comunità Lgbt. Una tabula rasa che ci riporta indietro di decenni, persino su diritti che credevamo ormai scolpiti nella pietra, mentre la situazione per le persone transessuali rischia di essere ancora più drammatica. In Europa, paesi come Ungheria, Polonia, Romania e Georgia, che hanno adottato leggi discriminatorie contro la nostra minoranza, potrebbero presto essere affiancati da altri. E’ improbabile che vengano messi in discussione il riconoscimento delle coppie Lgbt e il diritto al cambio di sesso, ma un rischio che sarebbe stato impensabile dieci anni fa oggi appare sorprendentemente concreto. E comunque è un dato di fatto che oggi è più difficile parlare di diritti civili Lgbt e di diritti delle donne. Il nostro è un sasso in uno stagno. Ci rivolgiamo alle tante persone Lgbt concrete e pragmatiche, che sanno che in politica come nella vita di ogni giorno serve costruire gradualmente consenso intorno a sé per avere risultati, diversamente il rischio di non averne alcuno o di fare passi indietro è dietro l’angolo.
Siamo sicuri che la nostra strategia di questi anni sia stata quella giusta? Siamo certi che coi nostri massimalismi non abbiamo messo le nostre teste su un vassoio d’argento a chi voleva in realtà tagliarle, regalando argomenti alle loro parole d’odio e fornendo carbone alle caldaie della paura e dell’intolleranza? Siamo certi che non poteva andare diversamente? E siamo convinti che oggi quello che dobbiamo fare è impuntarci su quelle rivendicazioni e non invece concentrarci su quelle universalistiche su cui costruire consenso?
Est modus in rebus, dicevano i latini: c’è una misura in tutte le cose. La ragionevolezza, la concretezza e la chiarezza non sono necessariamente modalità di fare politica di chi si arrende, ma al contrario sono di chi insiste come una goccia sulla roccia. Il consenso non è qualcosa che possiamo permetterci il lusso di non avere, ma al contrario è elemento necessario per far avanzare le nostre battaglie.
E allora, siamo noi che oggi impugniamo quella sveglia da notte che nove anni fa eravamo in tanti a far suonare nelle piazze italiane: sveglia, è tornato il tempo di essere concreti, pragmatici e riaffermare i diritti di cittadinanza.
Anna Paola Concia
già parlamentare italiana, coordinatrice di Didacta Italia
Alessio De Giorgi
già direttore di Gay.it, giornalista