La trade che ha scombussolato l’Nba ne certifica la sua nuova èra: sono le franchigie a dare le carte, alla totale insaputa dei cestisti. Fossero pure i migliori. Luka cacciato da Dallas, James di colpo scomodo a Los Angeles
A prima vista sembra un affare da film. Senza dubbio la trade del secolo: Luka Doncic e LeBron James insieme, all’ombra di Hollywood, in canotta gialloviola. In casa Los Angeles Lakers, una coppia così glamour non si vedeva almeno dai tempi di Shaq e Kobe. Roba da sconvolgere l’intera Nba. “Questo è lo scambio più clamoroso che abbia mai visto da quando guardo questo sport”, commenta Kevin Durant, che qualche canestro in carriera l’ha pur segnato. Per inciso, lo scambio: Doncic vola da Dallas a Los Angeles, mentre Anthony Davis compie il percorso inverso, all’interno di un’operazione che coinvolge altri cinque giocatori – e gli Utah Jazz a oliare gli ingranaggi della trattativa. Ma l’enfasi è tutta su loro due. Da una parte il fidatissimo sparring partner di The King, dominante sotto canestro e decisivo per l’anello conquistato nel 2020. Dall’altra il fenomeno sloveno, trascinatore dei Mavericks alle Finals della passata stagione. “LeBron ha sempre sognato di giocare con Luka”, è il leitmotiv che rimbalza nell’ambiente in queste ultime ore, aggiungendo ulteriore romanzo alla realtà. Magari sarà anche vero. Eppure il primo a finire spalle al muro, tirate le somme di tutta questa faccenda, è proprio James. Scalzato dal suo regno.
A stupire sono ancora di più le modalità del trasferimento: nessuno dei giocatori coinvolti – tre superstar assolute, con un ingaggio complessivo da 140 milioni di dollari a stagione – era minimamente al corrente di quanto sarebbe successo. E la notizia è arrivata che era già un fatto compiuto. Pare che Doncic sia rimasto di sasso. Davis e Lebron invece erano a New York, reduci da una delle più brillanti vittorie dell’annata dei Lakers. Il numero 23, addirittura, l’ha saputo mentre era a cena con la famiglia.
È un cambio di paradigma epocale per l’Nba e la Los Angeles gialloviola: fino a ieri il loro uomo-simbolo non solo era re, ma pure kingmaker, regista decisivo di qualunque movimento di mercato in entrata e in uscita. Questa invece è la rivincita delle franchigie: tutto era partito da Dallas, che nelle scorse settimane aveva preso a intavolare il discorso proponendo Doncic – manco fosse una palla al piede – a una rivale per i playoff come i Lakers. La dirigenza texana era insomma stufa dei difetti del classe ‘99, al cui smisurato talento fa da contraltare una generale indolenza – dall’approccio in difesa alla trascuratezza fisica, foriera di infortuni. Tutto ciò che invece porterebbe in dote il quasi 32enne Davis, abituato a vincere ma mai da solo. Per i Mavericks si tratta di un azzardo enorme: via la propria bandiera per un presente incerto e nulla più. Per i Lakers invece si profila un’irresistibile prospettiva: non c’era alcuna intenzione di cedere Davis, ma Luka cambia gli equilibri. Non necessariamente oggi – il tandem con LeBron sarà una macchina da sold-out, ma basterà per il titolo? Di sicuro però per il decennio a venire, con un nuovo volto di formidabile garanzia tecnica e commerciale.
L’improvviso cinismo losangelino poggia su basi concrete. Per quanto straordinario – proprio l’altra notte, al Madison Square Garden, ecco la decima tripla doppia stagionale – James ha appena compiuto 40 anni. Il suo spessore di gioco continua a ingannare il tempo, come nessun altro alla sua età. Ma prima o poi il tempo chiederà il conto anche a lui. “Mi resta solo un’annata, forse due, a questi livelli”. Questo LeBron lo sa. E lo sanno pure i Lakers: il futuro s’apparecchia così, congedando il passato un po’ alla volta. Certo, c’è modo e modo. Nel caso i gialloviola hanno già pronta la frase d’uscita, altrettanto da film: nothing personal, just business. O basket moderno.