“Così Brescia ha imparato a vincere”. Intervista ad Amedeo Della Valle

Il basket secondo il capitano della Pallacanestro Brescia. Dall’America (e LeBron) fino a Reggio e alla Leonessa. Il compagno ideale Manuchar Markoishvili e l’avversario più scomodo Marco Belinelli

Sono i colori di un autunno dorato. “Guardate che ormai ho scollinato i trent’anni”, sorride Amedeo Della Valle. Eppure non sembra, parquet alla mano. Per la prima volta nella storia, la sua Brescia si è laureata campione d’inverno – e nel momento in cui scriviamo è ancora in testa a pari merito. Per la quarta stagione di fila si fa largo tra le big di Serie A – nel mezzo pure la Coppa Italia in bacheca, primo trofeo societario. Di quest’epoca, spalmata su più cicli tecnici, Amedeo è il simbolo. Un collante di saggezza cestistica. “Le cose vanno bene. Ci divertiamo. Abbiamo trovato un equilibrio di squadra e svolto un girone d’andata stellare: il nostro obiettivo è riconfermarci. Siamo consci dei nostri limiti, ma non ce ne vogliamo porre altri”.

Tutto era iniziato quasi per scommessa, dopo un po’ di girovagare europeo. “Merito dell’ad Ferrari, che mi ha voluto qui per ricoprire un ruolo di responsabilità”. La guardia classica che si trasforma in tuttocampista: assistman, difensore, metronomo. “Cerco di capire i bisogni del gruppo, come mantenere alta l’armonia. È così che riusciamo a fare la differenza. Vinceremo partite, ne perderemo altre, ma con l’etica del lavoro si va lontano”. Magari oltre quella semifinale scudetto, che a oggi rappresenta il limes agonistico della Leonessa (mica male, in appena nove stagioni di massima serie). “La passione in città è cresciuta tantissimo in questi ultimi anni”, spiega Della Valle al Foglio sportivo. “Lo percepisci per strada, nel palazzetto sempre pieno. I risultati trascinano, portano la gente a essere ambiziosa e a esigere sempre di più. Un’arma doppio taglio: ormai a Brescia bisogna vincere, per tenere il pubblico dalla propria parte”. Sbornia delle prime volte. “Ognuno esprime la felicità a modo suo: piogge di autografi, biglietti. Tengo molto a cuore i tifosi più piccoli: rappresentano il futuro”. Che sia a bordo campo o al Capitolium, in pieno centro storico, il capitano è circondato. “Sono contento che siano così tanti: vuol dire che trasmettiamo l’entusiasmo giusto”.



Momenti imbarazzanti, invece? “Una mattina, prima di allenamento: un tifoso mi chiama, mi supplica. In quel momento non avevo con me nulla da dargli: né una maglia, né un cappellino. Ma lui non si arrende: “Qualsiasi cosa, anche che non c’entri col basket!”. Me lo ricordo ancora”. Amedeo perfino reliquia. È il prezzo da pagare per un rendimento da leader, che fermenta come il vino oltre ogni statistica (comunque 16 punti a partita). Flemma che inganna e poi colpisce: come nella trasferta di Venezia, a difendere un solo punto di vantaggio all’ultima azione. “Quella palla rubata lì”, decisiva per il cammino della capolista, “è figlia di tante altre che non ho recuperato”, la filosofia di Della Valle. “Ci vuole tempismo, anche un po’ di fortuna. A volte si è premiati, altre no: finché la domenica rispecchia lo stato d’animo e gli sforzi della settimana, noi siamo felici”. Quasi ci si dimentica che da un anno all’altro, Brescia ha cambiato allenatore: da Alessandro Magro a Peppe Poeta. “Due coach preparatissimi. Per tecnica, tattica, enfasi sull’affiatamento collettivo. Entrambi hanno idee di gioco che mi piacciono molto. E certo, personalità diverse”. Ma stesso esito sul tabellone. “La nostra continuità è figlia di un approccio al basket condiviso fra tutti”.



Ha trovato un’altra oasi di pace, l’ex doppio zero della Nazionale. Prende tempo. Si guarda alle spalle. “Tendo a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno: ogni esperienza mi ha aiutato ad arrivare qui”. Qualcuna in particolare? “Casale Monferrato e l’America”, sprazzi di adolescenza agli Ohio St. Buckeyes, Ncaa. “Giocare a 18-19 anni davanti a 20mila persone è qualcosa che ti forma”. E ti permette di incontrare LeBron James. “Ne ho conosciuti tanti nella mia carriera: Jokic, Giannis, Doncic. Il massimo. Eppure ripenso ancora a quando ho visto lui per la prima volta: è diverso. È diverso nel modo in cui viene guardato, nell’energia che emana. Non ho mai visto la gente reagire così davanti a un essere umano. Cosa gli ho detto? Le prime due cazzate che mi venivano in mente sull’Italia: sapevo che LeBron ci era appena stato. “Ah, figo”, mi rispose. E finita lì. Ma non potevo andar via senza avergli parlato”. Ci mancherebbe. “Quando poi sono rientrato in Italia mi sono sentito più pronto. Ho capito cosa aspettarmi, come svilupparmi. Arrivato nel professionismo è un altro mondo”.



Scorrono gli highlights. “Il compagno ideale: Manuchar Markoishvili. L’avversario più scomodo: Belinelli, puoi solo sperare che sbagli. E poi gli anni alla Reggiana, fantastici e irripetibili. Così come questi a Brescia: cerco di godermeli ogni giorno, con l’augurio che durino il più possibile. Ma mai darli per scontati”. Dove si immagina Della Valle, un domani? “Per ora molto concentrato sul basket: sento di poter giocare altri anni, da zero a cinque di alto livello. Poi il mio lavoro in questo sport sarà concluso. Ho dato e ricevuto tutto: non mi vedo allenatore, né dirigente. Non so dove sarò. E forse è bello così, no?”.

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