L’esposizione di “un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale” ai candidati che vengono ammessi agli esami con la sufficienza in condotta è la novità più significativa introdotta dal piano del ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara. I sindacati protestano, ma per i motivi sbagliati
Ogni ministro desidera lasciare la propria impronta sull’esame di maturità, che è l’equivalente del Festival di Sanremo nel comparto scuola: una vetrina a cui si appassiona soprattutto chi non è specialista, un consuntivo spesso ritoccato prima di ciò che lo precede, una faticosa valutazione del merito ormai trasformata in mero fenomeno di costume. A fine gennaio c’è dunque da tremare per le modifiche impresse sullo svolgimento dell’esame; quest’anno, Giuseppe Valditara si è limitato a dettagli, nulla in confronto a spettacolari incantesimi come la riduzione a due materie e l’estensione a tutte, la trovata delle buste chiuse da cui estrarre lo spunto iniziale e l’abolizione delle buste ma non dello spunto, l’apparizione imprevista della terza prova e la sua repentina sparizione fra “ooooh” di meraviglia.
La novità più significativa di quest’anno – ma se ne mormorava da mesi – è che i candidati con il 6 in condotta allo scrutinio di fine anno scolastico saranno sì ammessi all’esame, ma dovranno esporre durante il colloquio “un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale”. Il sindacato dei dirigenti ha protestato ma, come spesso accade coi sindacati scolastici, per i motivi sbagliati: secondo i presidi le scuole non sono pronte a questa novità, da introdurre piuttosto nel 2025-’26. Ora, è vero che sarebbe meglio non cambiare le regole d’ingaggio ad anno scolastico in corso, ma il fatto che a fine gennaio si abbattano improvvise le modifiche all’esame di stato è un’abitudine a cui abbiamo fatto il callo. Ciò che non convince è forse più questione di merito che di finezze giuridiche.
L’ambizione di Valditara, che emerge in modo coerente dai suoi interventi – condivisibili o no – è ripristinare nella scuola una certa disciplina, avvenga con la proibizione dei telefonini o con le poesie da mandare a memoria o, appunto, con maggiore severità sulla condotta. Sono tutte scelte legittime, ma si fondano sullo stesso errore che sembra aver causato il caos contro cui il ministro si dibatte: illudersi che la scuola possa non solo istruire ma anche farsi carico delle scelte etiche degli studenti. Vasto programma. Per molto tempo quest’orizzonte è stato inseguito passando non dico dal lassismo ma da un ammorbidimento, sintetizzato dallo slogan “mettere al centro gli studenti”. Ciò ha condotto a una maggiore benevolenza nelle valutazioni, a una proliferazione di piani didattici personalizzati, a un ampliamento dell’esperienza scolastica a progetti e iniziative talora poco in linea con lo svolgimento dei benedetti programmi – tanto che, a un certo punto, si è smesso di chiamarli “programmi”, sostituendo il termine prescrittivo con un più ottativo “obiettivi”.
La mostruosa articolazione dell’insegnamento dell’educazione civica ha segnato il punto di non ritorno nella pretesa che la scuola partorisca cittadini modello. Ora, leggo che Valditara vuole rendere fondamentali “la centralità della persona e la cultura del rispetto”; non differisce di molto dal traguardo di chi l’ha preceduto, se non nell’intenzione di percorrere la strada inversa, buscar el levante por el poniente. La controprova sta nel misterioso elaborato, da concordare col consiglio di classe e da presentare al colloquio in quella che può essere preventivata come messinscena, recita edificante a beneficio di commissari troppo annoiati, troppo accaldati, troppo rassegnati per domandare al candidato: ma come fa un compitino, nel mesetto scarso che separa lo scrutinio dall’esame orale, a rendere cittadino modello una persona che ha dato cattiva prova di sé tutto l’anno?