La liberazione degli ostaggi sotto casa di Sinwar

Il palco a Jabalia e il caos di Khan Younis: i terroristi consegnano alla Croce Rossa tre israeliani e cinque thailandesi in un’atmosfera tesa che controllano a malapena. Israele scarcera centodieci detenuti, tra loro Zubeidi

Prima Jabalia, dove sembrava tutto già visto. Poi Khan Younis, dove tutto è parso imprevedibile. Agam Berger è stata liberata dalla prigionia e consegnata da Hamas alla Croce Rossa a Jabalia, nel nord della Striscia, dove i miliziani avevano allestito un palco simile a quello preparato sabato scorso per Naama Levy, Liri Albag, Karina Ariev e Daniella Gilboa, compagne di prigionia di Agam e come lei rapite dalla base di Nahal Oz, dove prestavano servizio come tatzpitanyot, osservatrici: rimanevano incollate agli schermi a osservare ogni minimo cambiamento lungo il confine tra Israele e Gaza, avevano segnalato alcuni movimenti anomali, i loro superiori non le avevano ascoltate. Il palco per Agam era più piccolo rispetto a quello preparato per le compagne, la parata attorno era meno trionfale. Come le altre, la ragazza era vestita con una casacca e dei pantaloni verdi che dovrebbero ricordare le divise di Tsahal, ma in diversi dettagli i miliziani si sono dimostrati meno coordinati: uno ha accidentalmente fatto vedere il volto, esponendosi al rischio di essere identificato, mentre un altro si è fatto riprendere mentre ordinava alla ragazza di salutare la folla, fornendo la prova che gli ostaggi sono costretti a seguire un copione. Agam eseguiva, ora spaventata, ora seria, sempre impaziente, fino a quando non è stata portata via dal palco, consegnata alla macchina al personale della Croce Rossa che per la seconda volta è stato costretto a salire sul palco e partecipare allo spettacolo di Hamas. Agam Berger si è tolta subito la finta divisa ed è arrivata nella base dell’esercito israeliano già con dei vestiti civili addosso. Le sue compagne seguivano la sua liberazione, insieme e abbracciate nell’ospedale Rabin di Petah Tikva: sabato scorso, prima che venissero liberate avevano proposto ai miliziani che una di loro rimanesse con Agam.



A sud della Striscia, nelle stesse ore, veniva organizzata l’altra consegna: a Khan Younis il Jihad islamico, che ha partecipato all’invasione dei kibbutz assieme a Hamas, ha portato Arbel Yehud e Gadi Moses, rapiti da Nir Oz: Arbel è stata presa in ostaggio con il suo compagno, ancora detenuto, mentre a pochi passi da casa sua i terroristi uccidevano suo fratello di cui non è stato trovato il corpo, ma soltanto tracce di dna; Gadi invece era stato rapito assieme alla sua compagna, morta a Gaza, e ai suoi nipoti, liberati durante la tregua di novembre del 2023.



Non c’erano palchi a Khan Younis, c’era però appuntamento con la Croce Rossa in un punto molto particolare della città: la casa di Yahya Sinwar, capo di Hamas, regista del 7 ottobre, eliminato da Israele a fine ottobre. Un manifesto con l’immagine di Sinwar era stato innalzato proprio nel punto in cui sono stati portati gli ostaggi. Non è stato uno scambio facile, non soltanto i rapiti si sono trovati nel mezzo del solito spettacolo di propaganda, ma i miliziani non riuscivano a tenere sotto controllo la schiera di persone arrivate per vedere gli israeliani che uscivano da quasi cinquecento giorni di prigionia. Anche il manifesto con l’immagine di Sinwar è crollato tra la calca e le spinte. La liberazione è avvenuta con alcune ore di ritardo, Arbel e Gadi provavano a muoversi per arrivare alle macchine della Croce Rossa sovrastate dai terroristi e dai civili, per i quali ormai le liberazioni sono un momento di spettacolo. Hamas lo sa, i posti in cui organizza la consegna degli ostaggi non sono mai casuali e scegliere la casa di Sinwar come punto di ritrovo è stato un modo per galvanizzare il più possibile i palestinesi. Non ci sono immagini israeliane sui rilasci degli ostaggi, la regia è di al Jazeera o di altre emittenti vicine a Hamas e sui canali della televisione israeliana i momenti della liberazione degli ostaggi vengono mandati in onda così come vengono ripresi dentro Gaza, con le priorità propagandistiche dei terroristi, consapevoli del peso che le loro immagini hanno sui palestinesi, gli israeliani e il mondo.



Vedendo il caos a Khan Younis e il pericolo che gli ostaggi hanno corso in una situazione che i miliziani hanno fatto difficoltà a tenere sotto controllo, Israele ha ritardato la scarcerazione di centodieci detenuti palestinesi, tra i quali terroristi condannati all’ergastolo, organizzatori di attentati contro i civili per i quali non è stato previsto l’esilio ma il ritorno in Cisgiordania: anche Zakaria Zubeidi, ex comandante delle Brigate dei Martiri di al Aqsa, considerato uno dei capi più carismatici, è tornato nella sua casa a Jenin. E’ stato Hamas a fare la lista di chi doveva essere liberato, conta su questi miliziani per aumentare la pressione in Cisgiordania. Il gruppo è ancora in grado di trovare combattenti, ha però perso molti dei suoi capi militari, ieri il portavoce di Hamas ha ammesso per la prima volta che Mohammed Deif, che assieme a Sinwar aveva pianificato il 7 ottobre, è stato ucciso nella Striscia.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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