Il costo medio di generazione dell’energia è basso, il prezzo è stabilito dal mercato ma senza un passaggio competitivo queste condizioni non cambieranno. Il concessionario per vincere la gara dovrà rivelare il valore che attribuisce alla concessione, spingendo i soggetti interessati a formulare offerte al rialzo sul canone concessorio
Nei prossimi giorni il Parlamento dovrà esprimersi sulla proroga delle concessioni idroelettriche. Sarebbe l’ennesimo passo indietro sul fronte della concorrenza ma, soprattutto, un colpo al Pnrr. La legge annuale per la concorrenza 2021 – grazie alla quale il paese ha incassato la terza rata da 18,5 miliardi di euro – prevede infatti un’accelerazione sui bandi, di cui disciplina alcuni aspetti relativi alle modalità di riassegnazione della gestione delle dighe e la determinazione dell’eventuale indennizzo da garantire al gestore uscente. Fare retromarcia metterebbe in seria difficoltà sia il governo sia il commissario Ue Raffaele Fitto (che non a caso da ministro si era opposto a tale cedimento).
La vicenda italiana dell’idroelettrico è lunga e intricata: nel 1999, il decreto Bersani stabiliva l’individuazione di nuovi gestori tramite procedure concorsuali, allo scadere degli affidamenti in essere (previsto per il 2029 nel caso degli impianti Enel, teoricamente al 2010 per le ex municipalizzate). Invece, man mano che le concessioni scadevano venivano continuamente prorogate, al punto da innescare un lungo contenzioso con la Commissione Ue che si è solo parzialmente chiuso col governo Draghi, anche in forza della promessa di superare l’impasse. Bruxelles si fidò e mal gliene incolse. Sebbene gli operatori lamentino che altri paesi hanno affidamenti più lunghi, nei fatti i reiterati slittamenti (nove negli ultimi 40 anni) fanno sì che le concessioni in vigore abbiano una durata media attorno ai 90 anni. Né questo orizzonte così ampio ha consentito o incentivato gli investimenti di cui si favoleggia e che dovrebbero giustificare ulteriori allungamenti: anzi, il potenziale della fonte idroelettrica è oggi sottosfruttato proprio per l’assenza di interventi su impianti che, in alcuni casi, hanno più di un secolo di vita.
Ne segue che le concessioni idroelettriche garantiscono oggi una formidabile occasione di rendita per chi le detiene: il costo medio di generazione dell’energia è bassissimo e il prezzo di vendita è (giustamente) stabilito dal mercato. Senza un passaggio competitivo, queste condizioni non cambieranno. Il concessionario gode infatti di un’enorme asimmetria informativa sui costi dei “suoi” impianti. Invece, per vincere la gara dovrà “rivelare” il valore che attribuisce alla concessione, e metterne sul piatto almeno una parte per essere sicuro di aggiudicarsela. Spingendo i soggetti interessati a formulare offerte al rialzo sul canone concessorio, una parte della rendita idroelettrica potrebbe essere condivisa con la collettività ed essere impiegata, tra l’altro, per la mitigazione della bolletta, per tutti o per gruppi specifici di consumatori (come l’industria energivora). Lo conferma il precedente della provincia di Bolzano, che ha celebrato le gare nel 2005 ottenendo condizioni ben più vantaggiose. E ne è convinta la regione Lombardia, che ha bandito le prime gare l’anno scorso e adesso rischia di vedersi mettere i bastoni tra le ruote da un governo teoricamente amico. Invece di seguire il buon esempio di Bolzano e della Lombardia, la politica nazionale continuerà ad ascoltare i cattivi consigli?