Dal 3 al 26 per cento, durante la gestione di Daniela Santanché segretario regionale lombardo. Èvero, la opremier si fa vedere poco sotto la Madonnina, ma Milano per Giorgia Meloni è un feudo fedele e ben amministrato. Va bene così, politicamente ed elettoralmente. Qui sul fronte FdI ha sempre comandato l’attuale presidente del Senato
Dal 3 al 26 per cento. Questo è il risultato durante la gestione di Daniela Santanché segretario regionale lombardo. Sulla scia di Giorgia Meloni, ovviamente, ma anche perché sotto la Madonnina che veglia non solo su Milano ma sulla più grande regione italiana hanno giocato alcune scelte azzeccate nei collegi, acquisizioni di persone ex Pdl dal grande seguito (leggasi Mario Mantovani) and so on. Parlare del rapporto di Fratelli d’Italia con Milano, o del peso del governo di Giorgia Meloni nella vicenda milanese, significa prendere tra le mani un poliedro sfaccettato. Si dice, ed è in sostanza vero, che la premier in due anni sia venuta poche volte in quella che è pur sempre la capitale economica. Ma va detto che la distanza dei governi nazionali dal capoluogo lombardo è un peccato che si sconta da molto tempo. E un’altra faccia del poliedro, forse la più decisiva, è che Milano per Giorgia Meloni è un feudo fedele e ben amministrato. Va bene così, politicamente ed elettoralmente parlando. Perché ecco, in Lombardia, e giocoforza a Milano, sul fronte dei Fratelli ha sempre comandato Ignazio La Russa. Era uno degli esponenti più importanti nel Pdl, quando An era un partitino piccolo piccolo, è l’esponente istituzionalmente e politicamente più importante ora che Fdi è il primo partito italiano e lui è la seconda carica dello Stato. Una seconda carica che torna sempre nella sua città, un po’ perché interista sfegatato un po’ perché – da siciliano doc – è perfetto per essere un milanese doc, come da celebre aforisma di Montanelli. E qui da sempre c’è la sua famiglia politica, e la sua famiglia naturale. Il fratello Romano e i figli.
Poi c’è il binomio con Daniela Santanchè, che ha retto a mille battaglie e anche alla fase congressuale del 2023, poco più di un anno fa. Per Meloni è sempre stato un rapporto stabile, e si vedrà se le turbolenze giudiziarie di oggi porteranno a scelte diverse.
Così che oggi a gestire la segreteria regionale di Fdi c’è un uomo molto pacato e misurato, Carlo Maccari: 59 anni, Mantua genuit, sindaco eletto a furor di popolo a Guidizzolo, nel mantovano, poi consigliere regionale fino al 2013, ora deputato (nella commissione di vigilanza su Cassa depositi e prestiti: non un dettaglio) e coordinatore regionale. Il sostegno politico interno al partito è molto vasto, sul suo nome. C’è tutta l’area di La Russa e quella di Carlo Fidanza, l’europarlamentare milanese di precedente lungo corso a Palazzo Marino che sta acquisendo una forza non indifferente grazie alle 50 mila preferenze ottenute e al prestigioso incarico europeo di capo delegazione di Fdi a Bruxelles. E’ lui l’uomo che gestisce la politica meloniana all’Europarlamento, e a Milano conta eccome. Prima della sua ascesa, qui sul Foglio lo definimmo uno dei due dioscuri della destra milanese. L’altro è Marco Osnato, che ai congressi di un anno fa è stato minoranza consapevole, perdendo sia la provincia di Milano che il coordinamento cittadino. Consapevole perché a volte il “gioco di minoranza” è una scommessa sul lungo periodo, sul contarsi al congresso per costruire un’area coesa per il futuro. Peraltro Osnato ha un ruolo cruciale alla Camera: presidente della sesta commissione Finanze, vigila sui temi economici per Fdi, sulle banche, sulle assicurazioni e sulla Borsa. Non robetta, ma anzi. Osnato, bellunese classe 1972, in Regione Lombardia esprime suoi uomini alla guida del settore dei trasporti (in particolare con l’assessore Franco Lucente) e della casa (in Aler Milano, di cui conosce perfettamente la situazione per un lontano passato lavorativo). Sono campi cruciali, e a volte impopolari, ma come ripete spesso “la politica è anche prendersi responsabilità senza prebende”.
Se Osnato è l’opposizione interna, nella maggioranza larussiana e fidanziana c’è poi la componente di Mario Mantovani. Come già detto è stato uno degli “acquisti” relativamente recenti. Mantovani era il plenipotenziario berlusconiano sotto la Madonnina: dalle nomine alla sanità, quasi tutto passava per il “senatore” che, da opposizione interna alla maggioranza dell’allora coordinatore Guido Podestà, era diventato lui stesso maggioranza di ferro. Una corrente coesa, solo momentaneamente dispersa dopo inchieste giudiziarie assurde e finite con assoluzioni nette. Ma proprio a causa di quelle inchieste, e della mancanza di sensibilità di una parte del suo partito, Mantovani passò in Fdi, candidando prima la figlia Lucrezia e poi sé stesso sia nel suo amatissimo comune di Arconate sia all’Europarlamento. Il suo rapporto con La Russa è strettissimo, anche se oggi pare non intenzionato a scalare le gerarchie così come fece oltre un decennio fa. Insomma, Fdi a Milano è un partito stabile nella continuità, Meloni può lasciar fare.
Tra gli altri che contano qualcosa, a Milano, c’è sicuramente Marco Alparone. Assessore al Bilancio di Regione Lombardia, con contatti nel mondo della sanità lombarda solidi costruiti nel tempo, si muove in modo discreto in quel difficile cuscinetto tra la Fdi arrembante che vorrebbe muovere guerra ad Attilio Fontana e il presidente riconfermato che non teme nessuno, né all’interno del suo partito, la Lega, né all’esterno. Ci sono poi i prospect che in effetti sono già personalità riconosciute da tempo, ma che costituiscono la parte d’appoggio “intellettuale” del partito. Due per tutti. Da una parte Giovanni Bozzetti, già presidente di Infrastrutture Lombarde per quasi dieci anni, uno degli italiani più influenti a Dubai e negli Emirati Arabi, collaboratore del presidente del Senato, per il quale si progettano grandi orizzonti. L’altro è Maurizio Dallocchio (il suo nome circolò brevemente alle scorse elezioni come sfidante di Beppe Sala), professore universitario, da sempre vicino all’area politica larussiana e sulla cui competenza molti si spendono in complimenti. Entrambi vicinissimi a Ignazio La Russa, che si conferma il vero tessitore milanese e lombardo del partito di Giorgia Meloni.