L’Unione europea rinnova le misure contro Mosca senza nessun veto ungherese. Grazie anche al presidente americano Donald Trump
Dopo aver tenuto in ostaggio l’Unione europea per oltre un mese, Viktor Orbán all’ultimo ha rinunciato al veto sul rinnovo delle sanzioni contro la Russia. I ministri degli Esteri dell’Ue riuniti oggi hanno prorogato le misure restrittive settoriali per altri sei mesi. La decisione è “cruciale”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Se l’Ungheria avesse mantenuto il veto, il primo febbraio Vladimir Putin avrebbe potuto rimpatriare i 200 miliardi di euro di attivi della Banca centrale russa che sono stati congelati dall’Ue. Sarebbe stata un’enorme boccata d’ossigeno per un’economia esangue e altra benzina per la macchina da guerra. Orbán ha ottenuto solo una vaga dichiarazione di solidarietà sulla sicurezza energetica.
Non c’è alcun impegno a fare pressione sull’Ucraina per riaprire il gasdotto usato da Gazprom fino alla fine dell’anno. L’Alto rappresentante, Kaja Kallas, ha sottolineato che la dichiarazione ribadisce l’impegno a “liberarsi” dagli idrocarburi russi. Ma è possibile che sia stato Donald Trump a salvare l’Ue da Orbán. “Penso che a Donald Trump debba essere riconosciuto il merito su questo”, ha detto il ministro degli Esteri polacco, Radosław Sikorski: “Nella sua dichiarazione sul social Truth ha identificato Putin come l’aggressore e lo ha minacciato di sanzioni. Spero che la leadership ungherese abbia compreso il buon senso delle sanzioni”.
Data l’imprevedibilità del presidente americano, meglio non contare troppo su di lui in futuro. Il veto di Orbán si riproporrà ogni sei mesi, ma anche molto prima, quando la Commissione proporrà il sedicesimo pacchetto di sanzioni. Secondo Kallas, l’Ue deve imparare a parlare il linguaggio transazionale con Trump, perché è sufficientemente forte da trattare sullo stesso piano. L’Ue ha anche deciso di sospendere le sanzioni contro la Siria per permettere la ricostruzione dopo la caduta del regime di Bashar al Assad. Ma la decisione potrebbe essere revocata se Ahmad al Sharaa non rispetterà gli impegni su inclusività e diritti umani.