Testi che consigliano ai docenti quali domande fare ai ragazzi e contenuti più tecnologici che letterali: una miseria editoriale nuova che si crede innovativa ma invece crea solo una gran confusione
Avete mai dato un’occhiata ai libri di scuola dei vostri figli o nipoti? Sono libri che andrebbero attentamente e severamente recensiti. Socialmente sono molto più importanti della quantità di romanzetti stagionali, scritti in vista dei premi letterari dell’estate. I libri usati nelle scuole ci dicono molto della scuola e dell’insegnamento. Ma la scuola, da quella elementare alla media superiore, ha diversi primati. Il primo è quello di essere l’argomento di discussione che si evita più volentieri. Il secondo primato è di essere considerata, la scuola, particolarmente importante per l’intera società. Il terzo primato è quello che considera la scuola una realtà culturale con i difetti più incorreggibili.
Gli insegnanti e i genitori si lamentano e scuotono la testa da fronti contrapposti. Gli adolescenti protestano con occupazioni e manifestazioni che non aiutano ad affrontare i problemi e le possibili soluzioni. Gli adulti in genere e gli intellettuali in particolare sbadigliano solo a sentir nominare la scuola. Quanto ai professionisti dello studio e della cultura, il problema di come trasmettere il sapere e i saperi appare troppo al di sotto della loro eminente dignità sociale. Quanto al resto, non credo che le riforme ministeriali servano a qualcosa. Non sono mai riuscite a migliorare la quotidiana realtà scolastica: anzi, spesso la peggiorano imponendo semplicemente un gergo o neo-lingua per chiamare le cose che si fanno o si vorrebbero fare.
Torno perciò a un oggetto molto concreto come i libri di scuola. Mi è infatti capitato di aprirne uno destinato alla scuola media inferiore, e mi è sembrato un allarmante specchio della attuale miseria scolastica: una miseria editoriale nuova che si vuole e si crede innovativa e invece crea solo una gran confusione. Il libro che dovrebbe insegnare letteratura italiana a ragazzi di tredici-quattordici anni si intitola, non si sa perché, Amico Festival Letteratura, editore Mondadori. La prima pagina si apre con un titolone che dice: Hub Scuola: per una didattica digitalmente aumentata. Che cosa vorrà dire? Ecco la chiarificazione che segue: “Hub Scuola è la soluzione online che permette a studenti e docenti di consultare il libro digitale, esplorare le risorse multimediali integrate nel libro, creare classi virtuali e condividere i contenuti disponibili”.
Chissà. Tutto da scoprire. Tanto è vero che l’imperativo pubblicitario che introduce a un grafico di offerte suona così: Scopri l’ecosistema e Hub Scuola. Si parla a una “platea” di consumatori e di acquirenti con quell’eccitante “scopri”? Un pessimo inizio per l’insegnamento di letteratura italiana nonché, si presume e si vorrebbe, della lingua italiana in cui quella letteratura è stata scritta. Ma così si rassicurano gli insegnanti: Siate moderni e non rimanete indietro! Qui c’è un “ecosistema” e si tratta di “scoprire”.
I tre autori del libro insegnano agli ansiosi insegnanti in crisi come insegnare senza sbagliare. Più si faranno guidare da qualche macchina (la sola che detiene un’autorità indiscutibile) e più si sentiranno al sicuro. L’autorità non viene dal valore culturale di sette secoli di letteratura, viene invece dalla digitalità e dal libro digitale. La didattica prescritta è infatti (un bell’invito) “digitalmente aumentata”. Cioè? Che cosa aumenta in un tale modo di insegnare? La qualità intellettuale? La memoria? La passione di leggere? La comunicazione fra insegnanti e allievi? L’amore per la letteratura?
Il contenuto vero del libro non è quello letterario ma quello tecnologico. Non basta leggere e rileggere con attenzione e magari a voce alta e in classe i testi letterari? E che cosa sono le “classi virtuali”? Che cosa può voler dire “condividere i contenuti disponibili”? Non è semplicemente leggere le stesse opere degli stessi autori? Alla fine arriverà la solita “verifica” (cioè l’interrogazione o il compito scritto) ma si promette che sarà molto meglio che un tempo. Sarà il prodotto, il risultato dovuti a una “Didattica integrata Plus”. Nella forma poi del Festival Letteratura ci saranno anche “video-interviste” agli autori letti: “Onorevole Dante, perché ha deciso di scrivere un poema così lungo e complicato?” oppure “Conte Giacomo Leopardi, perché è così pessimista?” e via di seguito, a volontà.
Posso capire. Non è facile insegnare una letteratura come quella italiana, la più antica fra le letterature europee, scritta in una lingua piuttosto lontana dall’italiano di oggi. E poi c’è molta poesia di ardua lettura e poca narrativa d’avventura e per ragazzi. Ma con i libri di testo che circolano nelle scuole, la noia nasce dagli apparati di analisi e commento più che dagli autori. Sono prescritte agli insegnanti perfino le domande che dovranno fare ai ragazzi per “verificare” la loro capacità di comprensione di un testo. Ma allora gli insegnanti cosa ci stanno a fare? Questi libri di testo trattano gli insegnanti da analfabeti. Evidentemente la prospettiva è che verranno presto sostituiti da robot infallibilmente competenti.