A rischio 100 mila risparmiatori italiani senza alcuna rete di protezione, con una perdita potenziale stiamata a circa 300 milioni di euro. E la mancanza di un fondo di garanzia Ue (come esiste per le banche) rende la storia ancora più inquietante
E’ la seconda volta in pochi anni che un gruppo estero combina un pasticcio con il risparmio degli italiani. E’ successo due anni fa con Eurovita, quando il fondo inglese Cinven decise di sfilarsi dalle sue responsabilità lasciando che fossero le autorità e le banche italiane a occuparsi di mettere in sicurezza oltre 400 mila polizze vita, e sta succedendo di nuovo con la Fwu Life che ha sede in Lussemburgo. La richiesta da parte dell’autorità di vigilanza del Granducato di messa in liquidazione coatta della società apre una prospettiva cupa per oltre 100 mila italiani che hanno sottoscritto unit linked, polizze vita con caratteristiche simili ai prodotti finanziari. Il rischio di una perdita parziale o totale dei soldi investiti è concreta: si tratta di circa 300 milioni di euro, ma è una stima approssimativa.
La differenza rispetto al caso Eurovita è che i risparmiatori non hanno una rete di protezione: l’Ivass non può esercitare poteri di vigilanza su una società estera che non ha una sede stabile in Italia. In questo caso poi la Fwu Life, per distribuire i suoi prodotti, non ha neanche utilizzato reti di banche e assicurazioni italiane ma broker indipendenti e agenti multimandatari. Insomma, sembra una via senza uscita quella in cui sono finite tante famiglie, inspiegabilmente sollecitate proprio in questi giorni a riprendere il versamento dei premi, cosa che le associazioni dei consumatori (l’unico punto di riferimento rimasto) sconsigliano. Un professore tedesco, Manfred Dirrheimer, ha fondato il gruppo finanziario e assicurativo Fwu che già lo scorso agosto era stato dichiarato insolvente lasciando la branch lussemburghese agonizzante. La mancanza di un fondo di garanzia europeo per le assicurazioni, come esiste per le banche, rende questa storia ancor più inquietante per un paese con una grande ricchezza privata come l’Italia. Chiudere le porte a operatori esteri non è una soluzione, ma sarebbe il caso di ragionare sull’ampliamento dei poteri di vigilanza o su strumenti da mettere in campo quando una compagnia di un altro paese va in crisi.