Dazi, industria, immigrazione. I punti d’intesa tra Meloni e Merz

A Davos il leader della Cdu, probabile prossimo cancelliere, apre al dialogo con la premier. Dalla minaccia di Trump alla competitività delle imprese, sono molti gli interessi comuni tra Italia e Germania in Europa

In genere, quando ci sono delle importanti elezioni in Europa, capita che un capo di governo faccia aperture di credito nei confronti di un candidato. A Davos, per certi versi, è accaduto il contrario. Il leader della Cdu Friedrich Merz, favorito secondo i sondaggi come prossimo cancelliere dopo le elezioni federali tedesche del 23 febbraio, ha detto che vede Giorgia Meloni come un’interlocutrice affidabile: “Non capisco le riserve nei suoi confronti – ha detto Merz –. È molto pro-europea, è molto chiara nella sua posizione nei confronti dell’Ucraina e della Russia ed è molto chiara sull’ordine basato sulle regole dell’Unione europea. Perché non parliamo con lei più spesso di quanto abbiamo fatto in passato?”.

Un rapporto più stretto con la Germania è un’occasione importante per l’Italia in questa fase. Non si tratta semplicemente di resettare la relazione tra Roma e Berlino su basi nuove, dopo la freddezza dei rapporti con il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz che nella scorsa campagna elettorale italiana si era apertamente schierato contro Meloni. Ma di costruire una proposta politica capace di cambiare l’Unione europea, partendo dai già ottimi rapporti che la premier italiana ha con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, anch’ella esponente della Cdu.

Sono molti gli interessi comuni di Italia e Germania e i punti di contatto dell’agenda politica di Meloni e Merz. Il principale, proprio perché è un rischio concreto e immediato, riguarda i dazi degli Stati Uniti. Donald Trump ha detto chiaramente che intende riequilibrare il deficit commerciale statunitense nei confronti dell’Europa con le buone (più import di oil & gas americano da parte dell’Ue) o con le cattive (dazi). E la Germania e l’Italia sono i principali paesi esposti ai dazi di Trump: nel 2023, la Germania è risultata il principale esportatore europeo di beni negli Stati Uniti (oltre il 30% del totale), ma subito dopo c’è l’Italia (13%). E una parte export tedesco è fatto anche di componenti italiane.

La Germania ha con gli Stati Uniti un avanzo commerciale di circa 86 miliardi e l’Italia di 42 miliardi: insieme, Roma e Berlino, rappresentano insieme l’80% del deficit commerciale degli Usa con l’Europa (156 miliardi nel 2023). Evitare le tariffe di Trump o una guerra commerciale con gli Stati Uniti è un chiaro interesse comune. Su questo Merz è stato netto: i paesi europei non devono negoziare singolarmente con Washington, perché sarebbero più deboli, ma elaborare una posizione comune per trovare un accordo con Trump (ad esempio incrementando gli acquisti di Gnl, di cui del resto abbiamo bisogno, e gli investimenti nella difesa).

Un secondo punto in comune riguarda l’energia e l’industria. La Germania e l’Italia sono le due principali potenze manifatturiere d’Europa (rispettivamente 27% e 14% della produzione industriale Ue) e hanno in questa fase problemi analoghi: un declino della produzione industriale, dovuto a problemi di competitività legati alla iper-regolamentazione e ai costi dell’energia. “Ogni decisione del mio futuro governo – ha detto Merz – avrà una sola domanda: è positiva per la competitività della nostra industria?”. Il rilancio dell’industria tedesca vuol dire, ovviamente, quello dell’industria italiana che ne è subfornitrice, in particolare in alcune filiere come quella dell’automotive. Su questo aspetto, ad esempio, Merz intende rimuovere in Europa il divieto dei motori a combustione previsto per il 2035, una posizione analoga a quella del governo Meloni.

Più in generale, sul taglio della burocrazia, dei divieti e delle imposizioni europee sui temi ambientali (come il Cbam) c’è un cambio più generale di orientamento in Europa, espresso recentemente da un documento del Ppe. Sull’energia, Merz ha definito un grosso errore la decisione della Germania, prima nel 2011 (governo Merkel) e poi nel 2023 (Scholz) di chiudere il programma nucleare e spegnere le ultime tre centrali: il leader della Cdu ha addirittura chiesto scusa agli altri paesi europei che ora stanno pagando il costo dell’errata politica energetica della Germania. Un altro punto in comune tra Meloni e Merz riguarda l’immigrazione, che quest’ultimo intende fermare per spegnere il motore dei consensi dell’AfD, l’estrema destra che incalza la Cdu.

Ci sono però alcune partite che separano i due paesi, su cui Meloni e Merz dovrebbero sforzarsi di trovare una convergenza. Una riguarda i trattati commerciali come quello con il Mercosur: Merz è favorevole, la Francia di Macron è contraria, mentre Meloni ha una posizione ambigua per le pressioni contrarie degli agricoltori. L’accordo è strategico per l’Europa, che avrebbe accesso all’energia e alle materie prime critiche del Sud America, positivo per l’export dell’Italia e consentirebbe alla premier di sbloccare l’impasse a Bruxelles.

In questa fase in cui la Francia è politicamente debole, stringere un’intesa con la Germania è possibile, anche perché con la politica di bilancio prudente impostata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti i conti pubblici non sono più un tema che separa Roma da Berlino. Ma è soprattutto per l’Italia un’occasione per cambiare l’Europa secondo gli interessi della propria economia. E su queste basi la premier potrebbe anche insistere col suo interlocutore tedesco per trovare un maggiore equilibrio sugli aiuti di stato all’industria, che vedono la Germania investire enormi risorse che l’Italia non può pareggiare, mettendo in condizione di svantaggio competitivo le nostre imprese. Ma prima Meloni deve aspettare che Merz vinca le elezioni.

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