Uno stanco rituale, esibizione di un’ipocrisia insopportabile in cui gli ebrei sono lasciati soli, con una cerimonia anemica. Quando i custodi della Memoria dimenticano tutto, bisogna protestare
Disertiamo il “Giorno della Memoria”, appuntamento simbolico che dal 7 ottobre del 2023 ha smarrito il suo significato, è diventato stanco rituale, ma soprattutto esibizione di un’ipocrisia insopportabile. Una triste parata di sepolcri imbiancati, oramai. Il suo impegno solenne, quando fu istituito nel 2000, doveva essere il “mai più”: mai più Auschwitz, mai più orrori contro gli ebrei, mai più persecuzioni antisemite, mai più caccia all’ebreo, mai più una ragazzina ebrea di nome Anna Frank raggiunta in una soffitta di Amsterdam, senza nessuno scopo militare nella grande carneficina della Seconda guerra mondiale.
Perché nemmeno un ebreo, un bambino ebreo, un vecchio ebreo poteva essere risparmiato dallo sterminio genocida. Oggi il “mai più” sta diventando, senza una reazione adeguata, senza un sussulto di vasti, troppo vasti settori della cultura democratica, “ancora una volta”: ancora una volta, di nuovo, caccia all’ebreo, persecuzioni, agguati, assalti alle sinagoghe in tutto il mondo occidentale dimentico di sé e demolito dal fanatismo antisionista (cioè antiebraico).
Disertiamo il Giorno della Memoria. Ad Amsterdam, la città di Anna Frank, hanno linciato gli ebrei strada per strada, albergo per albergo, con i taxi guidati da islamisti che coordinavano le aggressioni con le modalità del pogrom. E noi qui, a cominciare da chi il 27 gennaio chinerà il capo contrito per declamare un sempre più insincero “mai più”, a scambiare il linciaggio per un banale tafferuglio tra ultras di squadre rivali: uno sprofondare umiliante nella stupidità, un collasso intellettuale di dimensioni gigantesche. Cacciano gli studenti ebrei dalle Università, da Harvard fino a Torino, e le autorità restano silenziose e imbarazzate e magari ci toccherà sorbire il discorso sulla Memoria proprio dai rettori che hanno appena siglato il boicottaggio delle università israeliane sotto le minacce delle nuove guardie rosse dette pro. Pal. Hanno boicottato una nota manifestazione canora perché tra i partecipanti c’era un’ebrea israeliana che cantava con animo straziato le vittime del pogrom di Hamas, il pogrom che nelle piazze dell’occidente lodano come l’inizio della resistenza, della rivoluzione. Niente, neanche un bisbiglio, un sussurro, una debole perplessità. Niente: i custodi della Memoria ufficiale hanno dimenticato tutto. Lasciamoli soli con la loro ipocrisia, il 27 gennaio.
Disertiamo il Giorno della Memoria perché è una scommessa culturale perduta. Pochi si opposero alla sua istituzione. Qualche dubbio da parte soprattutto liberale: c’era il rischio, dicevano, di una memoria di stato, di una ricerca storica che diventa subalterna all’ufficialità istituzionale. Questo rischio è stato corso, ma le previsioni pessimistiche sono state smentite. Qualche anno fa Elena Loewenthal, studiosa e traduttrice di Amos Oz, proclamava la sua contrarietà a una giornata della memoria che autorizza l’oblio negli altri 364 giorni dell’anno. Ma fino al 7 ottobre 2023, data in cui l’antisemitismo dell’occidente è stato sdoganato e ha di gran lunga surclassato quello sventolato dalle teste rasate e decerebrate, negazioniste e esplicitamente naziste, il ricordo della Shoah funzionava ancora come un freno, una remora, un confine. Oggi quel confine è cancellato, quel freno è saltato, quella remora è svanita. La Shoah è stata sconsacrata. Ha scritto Lia Levi, sbalordita, costernata: perché ci invitate nelle scuole, se poi quando riprende fiato l’odio per gli ebrei, vi dimenticate di noi? Nel cuore della cultura antifascista il nuovo antisemitismo, camuffato da antisionismo, dilaga senza argini. Una disfatta culturale inimmaginabile, fino al 6 ottobre 2023.
In Israele, nel giorno in cui si ricordano le vittime della Shoah, quando suona la sirena, il cui sibilo dura per due lunghi minuti che sembrano interminabili, tutti si fermano, in un silenzio che sembra irreale. E’ così, perché quel ricordo ferisce ancora sulla carne viva dei superstiti e dei loro discendenti. Nel Giorno della Memoria, gli ebrei sono lasciati soli, omaggiati con una cerimonia sempre più anemica e svogliata. Ma nel profondo lasciati soli, circondati dalla diffidenza. Non conta se gli studenti ebrei hanno paura di mettere piede negli atenei, non conta che in Francia, in Belgio, in Svezia gli ebrei scappano da un’Europa che sentono sempre meno come la loro casa. E allora bisogna protestare, non accettare l’abbandono come fosse cosa normale. Disertiamo il Giorno della Memoria.