Matthias Sindelar era così leggero che sembra volare

Il 23 gennaio del 1939 veniva trovato morto il Mozart del calcio. “Cartavelina” è morto ufficialmente per “avvelenamento da monossido di carbonio”. Qualche mese prima aveva segnato con la maglia dell’Austria nell’amichevole che doveva festeggiare l’Anschluss e che la Nazionale della Germania nazista doveva vincere

Il 23 gennaio 1939 era lunedì. L’Europa si svegliò come sempre, pronta a un’altra settimana con i timori della guerra che si insinuavano nelle ossa come il freddo invernale. Vienna invece si svegliò con un campione in meno. Con un’ultima finta, sospesa tra sogno e realtà, se ne andava Matthias Sindelar, eroe di quel Wunderteam che aveva regalato al calcio austriaco una stagione irripetibile. “Avvelenamento da monossido di carbonio”, dissero. Il corpo del giocatore e quello di sua moglie Camilla Castagnola vennero trovati dalla Gestapo. Nessuna autopsia. Nessuna inchiesta. Molte domande. Molte ipotesi. Diverse illazioni. Incredulità. Le ceneri dei corpi, cremati in fretta e furia dopo i funerali, hanno coperto per sempre la verità.

Matthias era nato 36 anni a prima a Kolzov, paesino della Moravia austriaca e niente avrebbe potuto far presagire il suo destino. “Di muscoli non ne ha. Di profilo pare piatto, sottile, trasparente, come se la madre ci si fosse, per errore, seduta sopra appena nato”, disse di lui con ironia “alpina” Vittorio Pozzo, il leggendario mister della Nazionale italiana dei due mondiali consecutivi, cui Sindelar, sul campo, fece vedere i sorci verdi.

Il piccolo Matej era malnutrito e affaticato dal lavoro di muratore che aveva intrapreso per guadagnare qualche soldo dopo la morte del padre. Fortunatamente, nel 1918, Karl Weimann accompagnò il ragazzo a fare un provino per l’Hertha Vienna, la squadra del quartiere. Tre anni dopo debuttò in prima squadra. Con fantasia e classe conquistò i tifosi che, per il suo fisico, lo soprannominarono der Papierene, “Cartavelina”. Neanche un brutto infortunio al ginocchio riuscì a fermarlo. Il chirurgo Hans Spitzy tentò per la prima volta un’operazione sul menisco di un calciatore. Da allora Sindelar fu costretto a giocare con una fasciatura al ginocchio che diventò iconica e contribuì a perfezionare quel suo stile di gioco tecnico e raffinato votato al controllo di palla e alla velocità per evitare pericolosi contrasti.

Il piccolo Matej trovò nel pallone un complemento di sé che lo esaltava, lo aiutava a vivere, a conoscersi meglio ogni giorno. Si trasformava: era “così leggero che sembra volare. Tocca la palla come la toccano gli Dei. La sua non è una finta scomposta, plateale, marcata. È un accenno, una sfumatura, il tocco di un artista”, scriveva ancora Pozzo sulla Stampa del 26 gennaio 1939.

Era così elegante nelle movenze e nel dribbling che Hugo Meisl, commissario tecnico del leggendario Wunderteam, lo soprannominò “Mozart del calcio”. Ma le note che l’Europa sentiva echeggiare erano le prime di un requiem che avrebbe cambiato il corso della storia. Il 30 gennaio 1933, Adolf Hitler fu nominato cancelliere e cominciò a caldeggiare la riunificazione tra Austria e Germania. Dopo aver seminato terrore e morte nei quartieri di Vienna, le truppe tedesche arrivarono all’obiettivo: l’Austria non esisteva più. In conseguenza dell’Anschluss anche la Federazione di calcio austriaca, così come il campionato nazionale, venne inglobata in quella tedesca e il Wunderteam smantellato. Non prima di un’ultima partita: Goebbels, ministro della propaganda nazista, organizzò un’amichevole tra Austria e Germania al Prater di Vienna come segno di amicizia tra le due nazioni. Il 3 aprile 1938 si giocò con ordini precisi rispetto al risultato. Ma Sindelar aveva in mente un addio alle scene memorabile: gli austriaci, costantemente in controllo, ostentarono la loro superiorità, rinunciando deliberatamente a segnare. Fino al 17’ della ripresa: Sindelar segnò con una cannonata delle sue e festeggiò il gol proprio sotto la tribuna dei gerarchi. Poco dopo il terzino Schasti Sesta raddoppiò. Durante la cerimonia finale, tutti i giocatori fecero il saluto nazista. Tutti, tranne due: gli autori dei gol restarono immobili. Le braccia ben salde lungo i fianchi. I loro occhi pieni di orgoglio guardavano già altrove.

L’amministrazione nazista cercò di imporre funerali in forma privata. Ma i viennesi inondarono la sede dell’Austria Vienna, ex squadra di Sindelar, con oltre quindicimila telegrammi. Cambio di programma. Pochi giorni dopo, il feretro del calciatore fu marcato stretto dalla sua gente: erano più di quarantamila ad accompagnarlo allo Zentralfriedhof, il cimitero centrale della città.

Ma perché allora, quando si nominano i grandi campioni del passato, Sindelar non fa quasi mai parte della lista? Nel bel libro Storie dei Giusti dello sport – curato da Gino Cervi e in uscita a marzo per Mimesis in una nuova edizione ampliata rispetto a quella del 2023 – Giovanni A. Ceruti dedica a Sindelar un dettagliato racconto, I piedi di Mozart, in cui prova a risponderci: “Sindelar non è diventato un simbolo perché non rispecchiava lo spirito dei tempi. […] Comportamenti come i suoi inquietano perché ricordano a tutti che non esistono strade obbligate, che è sempre possibile reagire alla prepotenza e all’ignoranza. […] Ha infranto il dogma che il calcio è un mondo che basta a se stesso, che chi ci si dedica deve dimenticarsi di quello che succede intorno a lui”.

Per questi motivi, quella di Matthias Sindelar è una di quelle storie che, come si dice, andrebbe raccontata nelle scuole. E per fortuna accade.

Al Theatron di Portici andrà in scena lo spettacolo “Cartavelina – Un calciatore contro il nazismo” in cui Luigi Savinelli interpreta il testo di Gaetano Coccia che riesce a mostrare poeticamente la parabola del calciatore e il coraggio dell’uomo, impreziosita da una struggente canzone inedita di Claudio Sanfilippo. Le repliche, dedicate a giovani studenti delle medie, sono previste per il 24 e il 27 gennaio. Il Giorno della Memoria. È confortante sapere che questa vicenda sia raccontata, rappresentata, messa in musica ancora oggi perché non parla solo di calcio ma degli imprevedibili intrecci tra il microcosmo di vite personali e il macrocosmo di eventi universali. È un corpo a corpo con la passione e la gioia, col dolore e la tragedia di vite spezzate e sogni infranti. E ci dice di noi, leggeri e fragili come la memoria. Come cartavelina.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.