Anche se sulla legge 86 non vi sarà alcun referendum, la sentenza 192 della Corte costituzionale ha reso impraticabile in via permanente il disegno politico leghista cancellandone tutti i presupposti essenziali. E nulla di ciò che volevano è costituzionalmente legittimo
Calderoli e Zaia vengono da un passato di battaglie secessioniste che hanno lasciato in loro un segno indelebile. Si sono fatti le ossa almanaccando di padania indipendente e sovrana, di Italia da spaccare in tre repubbliche. In seguito, per ragioni di realpolitik, per lo più dettate dalla necessità di non precludersi la possibilità di ricoprire incarichi nazionali di governo, i capi leghisti hanno gradualmente ammorbidito le loro posizioni. Hanno accantonato ma non rinnegato le vecchie parole d’ordine separatiste. Sono diventati fautori del federalismo. Ricordo queste radici ideologiche del Carroccio perché le radici hanno sempre un peso forte quando arriva il momento delle decisioni cruciali. Per la Lega il federalismo è stato un ripiego. La prima scelta era un’altra: la secessione.
Motivo per cui in un federalismo o regionalismo cooperativo e solidale la Lega non ha mai creduto e verosimilmente non crederà mai. Pur tuttavia la sentenza 192 della Corte costituzionale, che risale allo scorso novembre e che costituisce un paletto ineludibile per il legislatore di oggi e di domani, stabilisce inequivocabilmente che non potrà mai essere realizzato in Italia un regionalismo divisivo e anti-solidale quale quello che permeava la legge Calderoli che da questa stessa sentenza è stata svuotata. Ciò perché non è coerente con la forma di stato disegnata dalla Costituzione un decentramento in virtù del quale alcune regioni puntano solo a impadronirsi di fette aggiuntive di potere e di spesa, ignorando i principi di sussidiarietà, solidarietà e leale collaborazione tra i soggetti della repubblica, nonché il principio di unità e indivisibilità di quest’ultima.
Questo è il fatto grosso con cui tutti debbono ora misurarsi. Anche se sulla legge 86 non vi sarà alcun referendum, la sentenza 192 ha reso impraticabile in via permanente il disegno politico leghista cancellandone tutti i presupposti essenziali (come si legge persino nella memoria presentata dalla regione Veneto in sede di giudizio di ammissibilità del referendum da parte della Consulta!). Ecco perché sconcertano, come tutte le affermazioni a un tempo ingannevoli e auto-ingannevoli, i proclami “andiamo avanti” dei vari Calderoli, Zaia e Fontana. Avanti verso dove?
Nulla di quello che volevano è costituzionalmente legittimo: non la sottrazione allo Stato di intere materie e di un ventaglio troppo ampio di competenze; non l’aggiramento del Parlamento nelle decisioni-chiave sui Lep, che vanno finanziati preliminarmente; non l’umiliazione delle Camere relativamente alle leggi di recepimento delle intese; non le furbate sul trasferimento delle materie non-Lep, rispetto alle quali non sono ammissibili devoluzioni automatiche slegate da un esame del loro impatto sui diritti incomprimibili delle persone; non l’idea che si possano operare massicci passaggi di potere da un livello istituzionale all’altro senza adeguati fondi perequativi, a costo zero o quasi, perché ciò significherebbe far esplodere le disuguaglianze territoriali nel godimento di inviolabili diritti civili e sociali.
Se davvero si vuole produrre un risultato credibile in Parlamento, è indispensabile riconoscere prima di tutto questo dato di fatto. Nulla di solido può essere edificato su prese in giro e trionfalismi immotivati. La prima condizione perché nasca un dialogo serio e basato su un minimo di fiducia reciproca è che non vi sia da parte di nessuno la propensione a negare la realtà. Al momento questa condizione non è soddisfatta. Noi aspettiamo con fiducia. Se verranno proposte responsabili, saremo i primi ad apprezzarle. Faremo muro nel più energico dei modi se viceversa si deciderà di seguire la strada delle forzature. Una prima dimostrazione di buona fede sarebbe ad esempio l’immediato congelamento, in attesa di un chiarimento risolutivo in Parlamento, dei negoziati in corso con le singole regioni sulle materie non-Lep. Il pallino è in mano ai partiti della maggioranza. A loro spetta decidere per il meglio.
Dario Parrini. Senatore del Partito democratico