Il referendum sul Jobs Act divide la Cgil dalla Cisl. E la Uil?

I quattro quesiti sul lavoro promossi da Landini rischiano di spaccare ancora di più i sindacati: Sbarra bolla l’iniziativa come anacronistica mentre Bombardieri resta nel mezzo, indeciso se aderire o mantenere la linea della distanza

E adesso? Uscito di scena il referendum sull’autonomia differenziata, in campo restano solo i quattro quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil. Un bel guaio, per il sindacato, che rischia di spaccarsi ulteriormente, più di quanto non sia.

Se Maurizio Landini ha già annunciato che coglierà l’occasione dei referendum per rilanciare “una grande stagione di mobilitazione” finalizzata all’abolizione del Jobs Act, è scontata la non partecipazione della Cisl alla battaglia: per la confederazione guidata da Luigi Sbarra il Jobs Act è stato “una grande riforma”, sia pure con qualche lacuna, e “rialzare la bandiera dall’articolo 18”, come fa la Cgil coi suoi referendum, è “anacronistico e sbagliato’’.

Resta invece da capire cosa farà la Uil, che della Cgil è stata fin qui compagna di strada su praticamente tutte le iniziative, scioperi e manifestazioni che siano. In realtà, non lo è stata in una sola occasione, e cioè proprio per quanto riguarda i referendum sul lavoro. Pierpaolo Bombardieri non ha mai nascosto, in questi mesi, di nutrire forti dubbi sull’iniziativa: pur avendo condiviso con Landini anche un duro sciopero contro il Jobs Act, il leader Uil ritiene che lo strumento scelto non sia adeguato. Non c’è dubbio che alcune leggi sul lavoro siano sbagliate, aveva spiegato lo scorso aprile, dopo l’annuncio della Cgil sui referendum, ma la consultazione popolare non è la strada giusta per cambiarle: “Condividiamo la posizione della Cgil rispetto ai temi, ma crediamo che quello del referendum, dal punto di vista formale, sia uno strumento un po’ superato. Vedremo, ne discuteremo nei nostri organismi, e poi valuteremo. Comunque, in bocca al lupo a Landini e alla sua confederazione’’, aveva dichiarato all’epoca Bombardieri. Tanto che la Uil non aveva nemmeno partecipato alla raccolta delle firme, 4 milioni di sottoscrizioni, messe poi in carniere dalla Cgil nei mesi estivi, grazie alle quali si è arrivati al referendum.

In autunno l’attenzione si era poi concentrata tutta sul referendum contro l’autonomia differenziata, del quale anche la Uil è stata promotrice (tanto che una segretaria confederale, Ivana Veronese, è stata nominata vicepresidente del Comitato referendario guidato da Giovanni Maria Flick), mentre i quattro quesiti sul lavoro erano rimasti decisamente sullo sfondo. Dopo la decisione della Corte costituzionale, che ha bocciato il quesito sull’autonomia e dichiarato ammmissibili quelli della Cgil, il tema torna in primissimo piano. E a questo punto una posizione ufficiale anche la Uil dovrà prenderla, dando seguito alle parole del segretario: “Valuteremo quando i referendum saranno in campo’’. Una prima valutazione spetterà alla riunione della segreteria della Uil, che dovrebbe riunirsi lunedì prossimo, ma probabilmente la questione passerà anche per un organismo più ampio come l’Esecutivo, come tutte le decisioni politicamente delicate.

Le opzioni comunque sono abbastanza obbligate. La Uil può decidere di aderire a sua volta all’iniziativa della Cgil, partecipando attivamente alla campagna referendaria per consolidare il sodalizio con Landini. Oppure può mantenere la linea della distanza, non partecipando direttamente, ma senza mettersi di traverso. In questo caso, il peso della campagna referendaria, sindacalmente e organizzativamente parlando, sarebbe tutto sulle spalle della sola Cgi. Così anche come il suo esito. Perché l’obiettivo del quorum, senza il traino forte e unificante dell’autonomia differenziata, diventa difficile da raggiungere. In tempi di forte astensionismo portare i cittadini alle urne è quanto meno controcorrente. Landini, infatti, punta a un accorpamento del referendum con le prossime elezioni amministrative, ma soprattutto sulla innegabile capacità della confederazione di mobilitare, “ridando voce alla partecipazione democratica”. Mobilitazione che sarebbe più forte se si affiancasse la Uil.

Ma la scommessa resta a rischio, tanto più che la Cisl non mancherà di remare contro, e tanto più che lo stesso Pd potrebbe avere difficoltà a restare compatto, dato che dovrebbe invitare gli elettori a votare una legge varata da un governo del Pd, sia pure in altri tempi e da un Pd assai diverso da quello attuale (come Matteo Renzi, peraltro, non smette di sottolineare).

Dunque, se Bombardieri decidesse di continuare tenersene fuori, tutto sommato non sarebbe una scelta inspiegabile. Peraltro, sarebbe anche una smentita a chi sostiene che la Uil segua la Cgil pedissequamente su tutto. Ma chissà.

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