I limiti del referendum e quelli dell’autonomia differenziata

Per la Corte costituzionale “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”. La rivendicazione della Lega di prosecuzione dei negoziati avviati in estate sulle funzioni riguardanti materie no-Lep

La “gioiosa macchina da guerra” allestita dalle opposizioni per impedire qualsiasi ipotesi di autonomia differenziata ha fallito. Se è vero che i ricorsi delle regioni a maggioranza di centrosinistra contro la legge Calderoli hanno prodotto a dicembre un suo significativo, ancorché non radicale, aggiustamento, il tentativo di “dare la spallata definitiva” alla legge con un quesito abrogativo totale si è clamorosamente infranto l’altro ieri contro la barriera dell’inammissibilità. Nell’attesa del deposito della sentenza, il comunicato stampa della Corte costituzionale ha messo in luce come ‭”l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”, dal momento che esso ha una “portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata come tale”. Pena un pregiudizio della sua ‭”scelta consapevole”, al cittadino-elettore non può, infatti, essere chiesto se vuole o meno l’autonomia differenziata, istituto iscritto all’art. 116.3 della Costituzione che può essere oggetto eventualmente “solo di revisione costituzionale”.

La decisione non deve stupire, come pure sembra sia accaduto a Marco Cappato, che ha invocato (un ritorno a) una lettura a suo modo originalista dell’art. 75.2 Cost., per cui a non poter essere oggetto di referendum sarebbero soltanto le leggi ivi tassativamente previste (tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali). Com’è noto, le cose non stanno più così dal 1978, quando, con la sentenza Paladin, la Corte costituzionale ha desunto in maniera sistematica dalla Costituzione una serie di altri motivi di inammissibilità del referendum. Fra questi vi sono i requisiti inerenti alla formulazione del quesito, che deve essere semplice, chiaro, univoco, omogeneo, coerente e completo, pena una lesione della libertà di voto dell’elettore di cui all’art. 48 Cost.

Nel caso di specie, il problema stava non tanto nella disomogeneità del quesito, come pure aveva autorevolmente ipotizzato Giovanni Guzzetta su queste colonne l’estate scorsa, ma esclusivamente nella sua chiarezza. Sin dal 1987, la Corte ha iniziato a considerare non il quesito in sé, ma la finalità complessiva dell’operazione referendaria e, quindi, in buona sostanza, l’idoneità dello strumento rispetto al fine. In questo caso, il fine, fatto proprio dal comitato promotore, era formalmente quello di rendere meno agevole l’attuazione dell’autonomia differenziata, abrogando tutte le norme che procedimentalizzavano l’iter per il suo raggiungimento. Senonché, l’abrogazione integrale della legge Calderoli non avrebbe reso di per sé meno facile l’accesso a tale istituto, che, come si è detto, è previsto dalla Costituzione e non può essere cancellato se non al prezzo di una revisione costituzionale. Lo avrebbe reso soltanto meno prevedibile e privo di chiare garanzie procedimentali (anche per la salvaguardia di quegli interessi unitari che stanno molto a cuore ai promotori). Per la serie: tanto peggio, tanto meglio. Un esito del tutto controintuitivo, in ordine al quale certo non avrebbe potuto formarsi una scelta libera e consapevole da parte dell’elettore, il quale, in realtà, sarebbe stato indotto a decidere semplicisticamente a favore o contro l’autonomia differenziata.

A questo punto, scongiurato il referendum, la Lega ha ogni diritto di rivendicare la prosecuzione dei negoziati avviati in estate (per ora) sulle funzioni concernenti materie no-Lep. Sorprende che, sul Manifesto di ieri, Gaetano Azzariti sostenga che la legge Calderoli non possa “proseguire il suo iter” quando la legge è, fatta salva la determinazione dei livelli essenziali e ciò che ne consegue in termini di trasferimento di funzioni, pienamente operativa. Alle regioni richiedenti – Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria – tocca però prendere sul serio le indicazioni che la Corte ha offerto nella sua sentenza di dicembre, ossia la dimostrazione dell’adeguatezza in termini di efficacia ed efficienza del livello territoriale prescelto per l’esercizio delle funzioni, la garanzia dell’equità della loro distribuzione, la capacità di assicurare maggiore responsività da parte di chi esercita un mandato democratico a livello decentrato. Su questo, maggioranza e opposizione sono chiamate sin d’ora a confrontarsi nei rispettivi Consigli regionali e poi, una volta approvati gli schemi di intesa, in Parlamento.

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