Bene la “simpatia agli sforzi per una rinnovata presenza dei cristiani nella vita politica”. Ma dalle Settimane Sociali di Trieste ai convegni catto-dem, il non expedit è stato tolto solo da una parte. E la maggioranza dei cattolici che da trent’anni vota dall’altra parte?
Guardiamo con simpatia agli sforzi per una rinnovata presenza dei cristiani nella vita politica del paese e, mi auguro, dell’Europa”, ha detto il nostro caro cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, aprendo l’edizione fall-winter del Consiglio permanete dei vescovi italiani. Non si potrebbe essere più d’accordo, noi che all’ingerenza (pardon: moral suasion) dei cardinali in politica siamo da sempre affezionati. Non solo per don Camillo Ruini, che sarebbe banale, ma persino quando Oltretevere i fili li tirava il cardinal Tardini e anzi persino quando, ai bei tempi, erano i cardinal nipoti del calibro di Scipione Borghese o Ludovico Ludovisi a dare lustro alla Chiesa, e non solo con le opere d’arte. Ben venga dunque la spinta del cardinale Zuppi, che è qualcosa di più di una moral suasion, del resto erano lustri che le prolusioni del capo dei vescovi non catturavano le prime pagine e nemmeno quelle interne. Noi francamente si è stati bene anche in quegli anni di implicito non expedit, ma è l’anno giubilare e Zuppi sprona i fedeli a capire “i segni dei tempi e trasformarli in segni di speranza”. E tra i segni di speranza c’è anche mettere le mani in pasta e far lievitare la politica, dacché è “la più alta forma di carità”, come diceva un altro cardinale che ingeriva. “Mi piacerebbe che il Giubileo ci spronasse a fare programmi creativi e stabili per quanti vivono difficoltà, anche in collaborazione con quanti condividono la nostra stessa sensibilità”. La rimozione, appunto, di un non expedit interiore che ha spinto i politici cattolici a impegnarsi sempre e solo a proprio rischio. Ora il messaggio è: andate, e seguite la strada “a partire dalla Settimana sociale di Trieste”, come ha autorevolmente detto Zuppi. Giunti a metà strada, con un rispetto che vorremmo tenere disgiunto da un sottile scetticismo, ognuno ha i suoi peccati, sorge una riflessione e forse una domanda. “E’ importante che ciò avvenga nel tracciato della dottrina sociale della Chiesa, nella pur legittima pluralità di espressioni politiche”, ha specificato Zuppi. Lui che è a guida di tutti i cattolici variamente sensibili è stato chiaro, però tutti hanno interpretato la sua indicazione “a partire da Trieste” come una benedizione particolare ai due raduni dei cattolici d’area Pd dello scorso sabato. Quello di Orvieto, di sartorialità più istituzionale, classico cattolicesimo democratico e/o adulto. E quello di Milano da cui traspariva un mood più ecclesiale (l’importanza di piacere alla Chiesa, soprattutto ambrosiana). Ma sempre cattolici che pregano verso sinistra e sempre, nel doppio menù, le stesse parole d’ordine, le stesse letture dei temi sociali. Le Settimane sociali esistono da decenni, sono un patrimonio riconosciuto del cattolicesimo progressista, ma l’edizione di Trieste era di fatto appaltata al Pd. Va bene anche questo. Però, e forse dovrebbe interessare anche alla Cei del nuovo corso: visto che nessuno vuole tornare al partito cattolico, andrebbe tenuto conto che da oltre trent’anni la maggioranza non per forza silenziosa dei cattolici in Italia vota dall’altra parte, e sulla base di un’agenda non per forza trascurabile. E finché c’era quel bizzarro katéchon che fu l’anarca etico Berlusconi si fermavano al centro. Ora non più. Siccome non sono tutti trumpiani, un po’ di moral suasion anche per loro, anziché sottintendere che il non expedit vale solo se si vuole votare a destra, sarebbe una buona idea. Almeno per prudenza evangelica.