La sentenza contro l’ex sindaca di Torino e la deriva della responsabilità oggettiva
In ottemperanza alla decisione della Cassazione che aveva ordinato alla Corte d’appello torinese di ridurre la pena inflitta all’ex sindaca Chiara Appendino, condannata per responsabilità nell’organizzazione in piazza San Carlo della visione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid del giugno 2017, ha comminato ora la pena di un anno, cinque mesi e 23 giorni, inferiore a quella precedente solo di una settimana. La riduzione irrisoria fa intendere l’intenzione di confermare nella sostanza il giudizio assai severo, che a sua volta esce dal principio assai discutibile della responsabilità “oggettiva” degli amministratori.
La gravità degli incidenti accaduti in quell’occasione, che causarono due morti e centinaia di feriti per il panico che si era diffuso dopo che un gruppo di ragazzi irresponsabili aveva spruzzato peperoncino sui presenti, è innegabile. Meno convincente, invece, è che l’amministrazione avrebbe dovuto e potuto impedirli. Il fatto specifico che ha giustificato la condanna è la mancata imposizione del divieto di portare bottiglie di vetro, che peraltro non hanno avuto niente a che fare con la tragedia. Sembrano sofismi, in realtà quello che ha pesato è l’idea che chi ha organizzato l’evento e ha scelto il luogo è poi responsabile di tutto quello che può accadere. Tutto ciò era presente anche nella formulazione della Cassazione, non è una interpretazione della Corte torinese, quindi è un principio che viene considerato valido a tutti i livelli. Probabilmente la legislazione in vigore consente questa interpretazione estensiva delle responsabilità degli amministratori, che è invece stata ridotta con la recente riforma per gli atti amministrativi di altro genere. I giudici hanno stabilito che per quella manifestazione in piazza San Carlo, si è sbagliato nel definire “luoghi e tempi”, e per questo si è proceduti alle condanne. A parte la questione dei tempi che dipendevano da quelli della partita di calcio, la scelta del luogo può essere un reato, e per giunta così sanzionato? E’ davvero lecito domandarselo.