Se nel gioco tra i giganti si vede serpeggiare la noia

I riflettori del Tata Steel Chess Tournament sono puntati sui Master, ma l’emozione non è una certezza. Nel mondo scacchistico non sono nuove lamentele sul numero di patte troppo elevato ad alti livelli. Ma il problema potrebbe non essere nel gioco

Lo scorso sabato è iniziato il Tata Steel Chess Tournament, uno dei più rinomati tornei internazionali, spesso definito “the Wimbledon of Chess”. Quest’anno, alla sua 87esima edizione, ospita alcuni fra i più importanti e promettenti giocatori in attività, tra cui Gukesh Dommaraju, il diciottenne campione del mondo Fide, Fabiano Caruana, l’attuale numero due, Arjun Erigaisi, Vincent Keymer, Nodirbek Abdusattorov e Wei Yi, quattro giovani talenti che si contenderanno a lungo, in futuro, le vette mondiali. L’evento si divide in tre sezioni: una per i “Master”, quattordici giocatori selezionatissimi (scelti fra i primi cento al mondo) che si sfidano in un doppio girone all’italiana, dove cioè ognuno gioca contro ogni altro due volte.

Con lo stesso formato si svolge la sezione inferiore, quella dei “Challengers”, la cui vittoria garantisce un posto fra i master nell’anno successivo. Infine è prevista una sezione “Open”, con centinaia di partecipanti di tutti i livelli. I riflettori sono ovviamente puntati sulla sezione Master, la più prestigiosa, che regala le partite più istruttive, più tecniche, più profonde. Anche più emozionanti? Difficile a dirsi. Nel mondo scacchistico non sono nuove lamentele sul numero di patte troppo elevato ad alti livelli, sull’eccessivo peso che ha la preparazione e la memorizzazione del repertorio di apertura a scapito del calcolo e della creatività, e ancora in generale sullo stile noioso, spesso finalizzato meramente alla patta, di molti dei migliori giocatori. Un certo Robert J. Fischer per questi motivi disse di odiare gli scacchi, proprio lui che del gioco aveva assaggiato i frutti più dolci (ma anche i più amari).

Per lui, il vecchio gioco andava bene da bambini (da principianti), ma era ormai noioso e da buttare per gli adulti (i maestri). L’ex campione americano ha perfino inventato una variante del gioco per ovviare al problema: Chess 960, dove le case di partenza dei pezzi sono casuali (mantenendo sempre però i due alfieri su colori diversi e il re disposto fra le due torri). Nel discorso c’è sicuramente un fondamento di verità, ma bisogna tener conto anche dei fattori esterni, legati non alle regole del gioco ma al contesto. Fattori come gli incentivi economici a piazzarsi bene in un torneo ma non necessariamente a vincerlo, o la spinta a conservare l’elo. O ancora il formato stesso del torneo, come nel Tata Steel: giocando solo tra giganti si premia chi ai giganti sa resistere, più di chi è più bravo e costante contro i comuni mortali. Forse non è il gioco ad essere noioso, ma il modo in cui viene proposto.


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Si è spento prematuramente, per un malore improvviso, a Budapest, il MI Federico Manca, figura molto nota negli ambienti scacchistici italiani. In sua memoria, la posizione è tratta da una sua partita.

La partita: J. Sanchez – F. Manca, 16th Padova Open A 2013 0-1


Il Bianco gioca 16. Axd7 in vista di 16…Dxd7 17. gxf3 Tg4+ 18. fxg4 Dxg4+. Ma il Nero ha in serbo una mossa vincente: quale?

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