Come si inseriranno i “rinforzi” di alcune materie? E la Bibbia come Tolkien? L’errore della storia come “storia d’Italia, dell’Europa, dell’occidente”
A quasi un anno di distanza dal primo annuncio della volontà di rivedere i programmi scolastici, quelli di storia in particolare, il ministro Valditara ha rilasciato un’intervista al Giornale nella quale ha anticipato i contenuti del lavoro della sottocommissione di storici presieduta da Ernesto Galli della Loggia, la quale risponde a sua volta, come tutte le altre sottocommissioni disciplinari, a una commissione ministeriale nazionale presieduta dalla pedagogista Loredana Perla, co-autrice con GdL del volume Insegnare l’Italia (di cui abbiamo scritto su queste colonne alla fine di agosto). Prima di entrare nel merito dei contenuti occorre soffermarsi sulla strategia comunicativa di Valditara. Si dice che il testo (che sarà reso pubblico solo “alla fine di marzo”) è stato il frutto di “oltre cento audizioni, […] un lavoro capillare e approfondito”.
Chi come il sottoscritto ha partecipato, in qualità di presidente della Sisem (Società italiana per lo studio dell’età moderna) a una di queste cento audizioni, può testimoniare come si trattasse di poco più di un’operazione di facciata, singoli incontri online a molti dei quali non ha partecipato neppure la presidente Perla e alle quali non ha fatto seguito, come pure era stato richiesto, alcuna interlocuzione più strutturata. Valditara aggiunge che in questi due mesi, prima della “fine di marzo” si intende, sarà avviato un “ampio confronto”, “un grande dibattito, aperto a tutto il mondo della scuola, ai corpi intermedi, alle associazioni disciplinari”, al termine del quale la commissione nazionale sarà pronta a varare il testo, fino a quel momento ignoto a tutti. Come si possa strutturare un ampio dibattito intorno a un testo che non esiste, prendendo a riferimento una singola intervista giornalistica, è un mistero che solo il ministro potrebbe svelarci.
Appare chiaro, del resto, come tale bizzarro modo di procedere sia funzionale a un’operazione propagandistica: quella di chi può permettersi di annunciare che saranno “introdotti (opzionalmente) elementi di latino già dalle medie”, che “sarà dato più spazio alla letteratura, anche dell’infanzia, e alla grammatica”, che sarà rafforzato lo studio della storia ma anche quello della musica e della storia dell’arte, senza sentirsi in dovere di dire al posto di quali materie e quali argomenti questi ‘rinforzi’ verranno inseriti all’interno dei programmi, considerando che le ore scolastiche, supponiamo, resteranno le stesse. Di certo non un segnale di serietà.
Sabato in un editoriale sul Corriere della Sera GdL ha polemizzato con le critiche rivolte alla proposta Valditara, rivendicando il carattere ideologico della stessa. Glissando (giustamente) sullo specchietto per le allodole dell’ora facoltativa di latino, ha chiarito che l’idea è quella di intendere la Bibbia come un “grande codice” della letteratura mondiale, un repertorio di storie da utilizzare come “introduzione favolistica” al passato, alla pari di Omero, Virgilio e, viene da aggiungere, alla pari delle “saghe nordiche” esplicitamente menzionate da Valditara nella sua intervista: per i non addetti ai lavori, il riferimento è al Signore degli anelli di Tolkien (come noto, il libro cult della presidente del Consiglio Giorgia Meloni: ma non bastava la mostra celebrativa organizzata di recente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma?). La Bibbia come Tolkien? Operazione legittima, ma altrettanto legittimamente discutibile.
Per i programmi di storia – il centro nevralgico di questa riforma – la proposta è quella di una “grande narrazione” che privilegi “la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente”: un passo avanti rispetto al citato libro-manifesto di GdL e Perla che insisteva in modo quasi esclusivo sulla storia italiana. Sul Corriere della Sera GdL ha scritto che non si può studiare tutto, occorre selezionare, ed è naturale che nell’impossibilità di “insegnare due millenni di storia mondiale” la scelta debba ricadere “sull’Italia, sulla sua storia e insieme sul più vasto contesto geo-storico-culturale con cui essa è venuta in contatto”.
Ecco, il punto è proprio questo. Quello che negli ultimi venti, trent’anni la migliore storiografia italiana e internazionale ha fatto emergere è che esisteva sin dal Medioevo un intreccio di culture, scambi commerciali, contaminazioni sociali che ha costituito la premessa del mondo globalizzato nel quale viviamo oggi. E che senza comprendere quelle radici poco capiremmo di un mondo nel quale la Cina e la Russia hanno, con il nostro consenso o meno, un ruolo sempre più rilevante nell’economia mondiale, soprattutto se comparato al predominio americano e occidentale del Novecento, dove, non si può che convenire con GdL anticipando il ragionamento però almeno all’Ottocento, “la storia mondiale irrompe e la fa da padrona”. E che dismettere lo sguardo occidentalocentrico sul nostro passato (e presente) non significa trascurare la storia italiana ed europea oppure studiare nel dettaglio la storia di tutti i paesi del mondo, come viene demagogicamente affermato. Un approccio più aperto al nostro passato è premessa indispensabile per accogliere l’altro che già siede sui banchi di scuola accanto ai nostri figli e nipoti.
Sempre considerando che, al di là di queste affascinanti discussioni sulle diverse visioni del passato, a fare i programmi di scuola saranno gli insegnanti in classe e soprattutto il mercato editoriale dei manuali che, fino a prova contraria, il ministero non vorrà e potrà riscrivere a suo piacimento.