Quello che succede ogni giorno in Ucraina: “Inaccettabile”. La pace in medio oriente: “Solo dopo lo sradicamento del terrorismo”. E poi Trump, gli obblighi con la Nato da rispettare, Musk e le vere minacce, la decadenza dell’Europa. Una chiacchierata con il ministro della Difesa
Guido Crosetto allunga il suo braccione, si gira verso la finestra e a un certo punto indica un punto sulla sua destra. “Vede quell’incrocio, quel semaforo? Da qui saranno trecento metri, al massimo quattrocento. Giovedì scorso, a questa distanza, mentre ero a Kyiv sono caduti dei droni russi intercettati dall’antiaerea ucraina. Questa è l’Ucraina, oggi. Missili ogni giorno, razzi ogni giorno, artiglieria ogni giorno, guerra ogni giorno, terrore ogni giorno. Da tre anni. Ogni giorno così. Ogni giorno”. Siamo qui, a Roma, a via Venti Settembre numero 8, al primo piano del ministero della Difesa, e siamo qui a chiacchierare con Guido Crosetto per ragionare attorno ad alcuni temi importanti, centrali, vista anche la data in cui esce l’intervista. Oggi è lunedì 20 gennaio, il giorno dell’insediamento di Donald Trump. Quando si parla di Trump, e si proietta la sua ombra anche al di là dell’Atlantico, le incertezze sono molte e le certezze sono poche. Con Guido Crosetto partiamo da qui.
Ministro, quali sono i rischi, le opportunità, le partite da non sottovalutare, quelle da mettere a fuoco in questa nuova stagione nei rapporti con Trump?
“Con Trump? Intanto non è che possiamo parlare di Trump, dobbiamo parlare di rapporti con gli Stati Uniti. I rapporti non cambiano a seconda del presidente in carica. Gli Stati Uniti sono un alleato tradizionale dell’Italia: storico, stabile, indispensabile. Un alleato scegliendo il quale abbiamo fatto una scelta di campo. Un alleato con il quale i rapporti presuppongono anche degli obblighi. Cosa cambierà con Trump? Cambierà probabilmente l’assertività con cui gli Stati Uniti chiederanno il rispetto degli accordi che abbiamo firmato, sottoscritto, accettato. Da 75 anni, governo De Gasperi in poi, gli altri a seguire”.
Pensa alla Nato?
“Sì, ma non solo. Penso al rispetto degli accordi in generale, penso al modo in cui si intenderà il rispetto di questo patto di amicizia. Se sei amico mio, significa che allora magari abbiamo gli stessi nemici, che le cose che abbiamo deciso di fare insieme le facciamo insieme e non le faccio solo io. E il primo punto, certo, è la Nato”.
Che cosa cambierà per l’Italia?
“Cambierà molto: dovremo rispettare dei target precisi che la Nato ha equamente distribuito tra le nazioni. Cambierà il modo in cui intenderemo il concetto di difenderci tutti insieme, detto anche ‘difesa collettiva’. La difesa comune è un concetto nobile, certo, ma non significa che gli Stati Uniti difenderanno tutti a prescindere da quello che faranno i suoi alleati. Non più. Ci sono degli accordi. Degli obblighi. E quegli obblighi ora, con Trump, varranno di più. Lui non farà sconti, non farà finta di non vedere. Trump è molte cose insieme, ma è soprattutto un uomo e un presidente pragmatico. E un pragmatico non può non puntare alla sostanza delle cose. Ovvero: all’aspetto economico. Se io spendo il 3-4 per cento del mio pil per difendere un’alleanza, come la Nato, e lo faccio da 70 anni, nella logica di un pragmatico è inaccettabile che ci sia qualcuno che ci mette di meno e che pensa di potersi difendere facendo leva sugli investimenti degli altri. Tanto più che adesso, in questi decenni, altri attori, nuovi e pericolosi, si sono affacciati sulla scena internazionale. Attori con cui stiamo andando in competizione e da soli in tale competizione non ci si può difendere. Questo significa non solo investire di più, ma migliorare in tutto la difesa”.
Trump però non dice: non posso. Dice: non voglio.
“No, fa un ragionamento diverso: dice non si può. E lo dice perché gli attori in campo oggi sono tanti e alcuni sono diventati competitivi, minacciosi, forti come non mai. L’America oggi – continua Crosetto – ha bisogno che quelli che da decenni si dicono alleati facciano qualcosa per dimostrare che l’alleanza esiste e sa compiere dei passi in avanti reali”.
Crosetto, lei sa che chiedere di fare di più, nella Nato, significa prima di tutto chiedere di fare di più anche all’Italia, che è uno dei pochi paesi europei a non aver raggiunto neppure quest’anno il target del due per cento del pil investito nella difesa.
“Certo che lo so, lo dico da 30 mesi. In diverse interviste, davanti alle Camere, cioè nel luogo più solenne possibile, ovunque. E’ così. Noi più di altri lo dovremo fare. Anche la Germania, fino a tre anni fa, investiva poco nella propria sicurezza e nella propria difesa, ma ora, invece, e pur con un governo che aveva nel programma la riduzione della spesa in difesa, ha superato il 2 per cento e parla del 3. E’ il momento di una svolta, è oggettivo, e lo è anche per noi”.
Viene naturale chiederselo, ministro: perché l’Italia non ha avuto il coraggio, anche con questo governo, di aumentare le spese per la difesa? Il target del due per cento è lontano: il 2024 si è chiuso con una percentuale dell’1,57 per cento del pil investito in difesa. Ci sono sedici paesi membri dell’Ue che ci sono riusciti e hanno superato il due per cento: Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia, Ungheria.
“Non lo dica a me… Il problema c’è, ma per noi non è un problema di scelta politica contingente, ma generale, e non specifico, che riguarda il bilancio dello stato, nel suo insieme. Stante le regole europee e il Patto di stabilità, l’aumento della spesa della difesa dovrebbe diventare un taglio di altre spese. Perché il Patto di stabilità mi pone il limite massimo: se io non posso superare quel limite per la difesa, devo comprimere altre spese ed è molto difficile. Soprattutto in un momento di crisi economica”.
Questo è un discorso che a Trump non interessa. Quindi il risultato è che probabilmente il prossimo anno andrà fatto e basta.
“Andrà affrontato e fatto, sì: è un obbligo, non una scelta e lo dovremo fare. Ma, vede, c’è un tema diverso e che dico da sempre. Io trovo sbagliato farlo solo perché lo chiedono gli alleati o Trump. Noi dovremmo farlo perché pensiamo che la sicurezza, la difesa, e anche la deterrenza, siano fondamentali per tenere in piedi una democrazia in un mondo sempre più competitivo, nel quale la forza militare sta diventando un elemento di influenza sempre maggiore”.
E’ vera la storia che l’esercito della Corea del Nord, da solo, ha un numero di truppe che sono pari a tutti gli eserciti europei messi insieme?
“Certo, assolutamente sì, è vera. Ma questo non perché la Corea sia così grande. E’ perché stati come la Corea del Nord puntano tutto sul potere militare. E gli stati che seguono questa logica purtroppo non sono pochi. Questi, però, sono i nuovi equilibri. Noi, e non parlo solo dell’Italia, abbiamo Forze armate valide ed efficienti, ‘in stato di prontezza’, si dice in militarese, ma che abbiamo costruito con l’idea di investire il minimo indispensabile. Così come abbiamo Forze armate, e le nostre sono di altissimo livello, costruite soprattutto per le missioni internazionali. Adesso stiamo parlando di guerra. Stiamo parlando di stati che aggrediscono altri stati. Di stati che considerano il potere militare e il potere delle armi come un potere che si può usare nella competizione internazionale”.
E quindi essere dei pacifisti, disinteressati alla deterrenza, non vuol dire essere a difesa della pace, ma vuol dire essere involontariamente o volontariamente a difesa di chi ha la forza, e la usa?
“Dico di più. Vuol dire essere ‘alleati’, de facto si non de jure, con chi ha il potere della forza e la usa contro altre nazioni sovrane. E’ giusto reagire contro gli invasori o gli oppressori, è sacrosanto. Penso a quanti dicono ‘non dobbiamo aiutare l’Ucraina’. Sostanzialmente, è come se dicessero: se vedi delle persone che stanno picchiando una ragazza, girati dall’altra parte, perché se poi magari vai ad aiutarla, rischi di prenderti le botte o gli insulti. Non pensano che, dopo quella ragazza, magari toccherà a tua figlia, se li lasci fare. E’ una follia”.
Cos’è la deterrenza oggi? Cioè, come deve cambiare culturalmente e anche economicamente e anche nel livello della sicurezza la deterrenza in questa nuova stagione di guerra e di conflitti?
“Deterrenza significa tante cose, ma in buona sostanza consiste nell’avere la forza, la capacità, la prontezza, quando e se sei attaccato, o se altri lo sono, se qualcuno mette in pericolo gli interessi reali di un paese, di poter agire con rapidità, efficacia, certezza del risultato. Se domani mattina gli houthi mettessero una base in Libia e decidessero di fare anche in Libia quello che fanno adesso nel Mar Rosso – e questa cosa, badi, non la dico casualmente – seguendo l’approccio che abbiamo avuto finora, dovremmo forse aspettare che gli houthi arrivino, si insedino, tirino su una base militare e poi inizino a colpire le navi? Se ragionassimo come sempre abbiamo fatto, sì. Ma a quel punto cosa potremmo fare? Andare a proteggere le navi, metterci in mare e intercettare i missili. Impossibile”.
E invece come si potrebbe fare?
“Se gli houti volessero portare una simile minaccia alle porte di casa nostra, fin dentro casa nostra, l’unico modo sarebbe quello di impedirlo preventivamente. Anche questo fa parte del concetto di deterrenza. Dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ad oggi le nazioni europee – tranne la Francia, il Regno Unito è fuori dalla Ue – non hanno neanche mai concepito l’idea di poter agire così. Ma oggi, ormai, e da anni, viviamo in un mondo in cui, sempre più probabilmente, occorre prepararsi a eventualità simili. E allora devi cambiare. Devi cambiare gli investimenti, devi cambiare il modo in cui addestri e prepari le tue Forze armate, ma soprattutto devi cambiare la mentalità. Probabilmente, se posso dirlo, anche alcune leggi. Secondo me anche queste modalità sarebbero assolutamente compatibili con l’articolo 11 della Costituzione, e se non fossero compatibili si dovrebbe ragionare anche su quello. Credo lei ricordi le discussioni sulla legittimità costituzionale o meno dell’attacco aereo voluto dalla Nato, nell’ambito dell’operazione Allied Force, autorizzato dal governo D’Alema nella ex Jugoslavia, su obiettivi serbi. Furono polemiche feroci, ma alla fine quell’attacco ci fu. Bene io vorrei che le discussioni fossero fatte nel luogo deputato, il Parlamento, quando c’è la calma e il tempo per farle e non in condizioni di urgenza o pericolo”.
Ma la difesa comune oggi è un modo solo per responsabilizzare gli stati ad agire insieme, non a condividere gli eserciti europei.
“L’Europa non ha alcun potere sulla difesa. Anche negli stessi trattati costituzionali europei, la difesa è vista e vissuta solo come una responsabilità nazionale. La difesa europea dovrà essere qualcosa come la difesa Nato. Ma, come si sa, la Nato non è uno stato. La Nato è un’alleanza – politica e diplomatica, non dimentichiamolo, non solo militare – e un luogo nel quale si studiano delle modalità con cui fare interoperare difese di paesi diversi”.
“Cosa significa? – continua il ministro della Difesa – Io conduco addestramenti, seguo modalità operative, che poi tutti studiano, con cui il mio esercito, la mia marina, la mia aviazione cooperano con quelli degli altri paesi. I miei aerei partono in volo con aerei di altri paesi. Le mie navi fanno esercitazioni con navi di altri paesi. E alla fine è come se tutti gli eserciti, gli aerei e le navi fossero di un solo, unico, grande paese. Per dirla con i classici, è la forza dei tanti che diventano uno solo. Ovvio che tu diventi più forte, il tuo scudo difensivo è più forte. Il vantaggio dell’Europa è che quasi tutti i paesi europei sono membri della Nato e quindi rendere il sistema fluido è più facile: quelle modalità operative di addestramento comune, di interoperabilità, le faccio diventare quelle europee. Certo, puoi anche costruire, a valle, un centro di comando comune, ma questi sono aspetti che alla fine puoi benissimo non duplicare, ma sovrapporre a quelli in opera della Nato. Questo significa costruire il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica”.
Ma il ministro Crosetto ci crede alla difesa europea? Cioè: ci crede alla messa in comune degli eserciti delle varie nazioni, oppure basta la Nato?
“Parliamo della stessa cosa che può essere il pilastro della Nato e che all’occorrenza è la difesa europea. Ma attenzione: nel caso in cui Trump decidesse che la sua priorità è l’Indo-Pacifico, e/o la Cina, sarebbe cruciale avere una capacità autonoma di occuparsi di Mediterraneo, Europa, o del vicino russo, perché magari potremmo essere lasciati molto più soli di quanto siamo stati finora”.
Ci sta dicendo che con l’arrivo di Trump, l’Italia potrebbe essere maggiormente responsabilizzata nel Mediterraneo?
“Assolutamente sì. E’ probabile che Trump sia più interessato all’Indo-Pacifico che al Mediterraneo. Cioè, Trump, un pragmatico, ha come tema principale, e avrà sempre di più come tema principale, la competizione con la Cina. Che non è solo una competizione con la Cina, è qualcosa di molto più grande e molto più complesso: riguarda il modo in cui cambia l’ordine del mondo. E’ la capacità della Cina e di alcuni paesi suoi amici di essere attrattivi per una parte del mondo alternativa a quella occidentale. Quindi la Cina, l’Iran, la Corea del Nord e la Russia sono un punto di partenza – attraverso i Brics, ad esempio, che cercano di egemonizzare, se non direttamente di conquistare, asservire – di qualcosa di più ampio. Si rischia di saldare insieme tutta l’Asia, il Sud del mondo, quasi tutta l’Africa, in una competizione anti occidente. Che è una competizione non soltanto militare, ma, e questa parte si sovrappone a quella militare, sulle nuove tecnologie e sulle materie prime”.
C’entra anche la Groenlandia?
“Certo. Non esiste competizione più importante, oggi, che non sia quella sulle materie prime. Nella logica di Trump, con Groenlandia e Canada, dal punto di vista delle materie prime, è un salto quantico. Però, non è solo su questo aspetto, la competizione. La competizione sarà, ed è già fortissima, su alcune traiettorie tecnologiche che rivoluzioneranno completamente il futuro”.
Per esempio?
“La combinazione del quantum computing e dell’intelligenza artificiale. La fusione nucleare. E poi le nuove tecnologie sul dominio spaziale e sul dominio subacqueo. Perché l’altro tema importante, quasi quanto lo spazio, sarà proprio quello subacqueo”.
C’è davvero il rischio che l’Iran e altri paesi si avvicinino al Mediterraneo arrivando in Libia o in altri paesi limitrofi?
“Abbiamo visto che la politica di alcuni paesi, come l’Iran, si è giocata attraverso i proxy. Come è partita Israele quando ha voluto intimorire l’Iran? Attaccando i proxy. Chiaramente ci sono luoghi dove è più facile far radicare movimenti eversivi o terroristici. L’Iran o i movimenti integralisti possono anche avere come obiettivo principale Israele, ma considerano il loro nemico ideologico tutto l’occidente. E, quindi, tutto ciò che è modificabile in senso negativo per l’occidente è un potenziale problema. Penso alla Libia, dove comunque non c’è ancora un assetto stabile, ma penso anche ai movimenti che oggi scuotono la maggior parte degli stati africani e le loro istituzioni, già fragili. Dove c’è un vuoto può nascere un problema, può nascere una guerra, si può sedimentare odio, si generano fughe e processi migratori di massa, instabilità diffusa”.
Il ministro Crosetto, parlando di Ucraina e parlando di Trump, è o non è preoccupato? Trump su questo è stato esplicito. Magari cambierà idea, però ha fatto capire con chiarezza che la difesa dell’Ucraina non è una priorità e non è una priorità lo stanziamento di altre risorse militari.
“Intorno a Trump, come avrà visto, ci sono due approcci diversi, sul tema della difesa dell’Ucraina. C’è quello che dice ‘diamogli molto di più’ e c’è quello che dice facciamo finire la guerra consolidando l’esistente’. Nessuna delle due ipotesi prevede l’abbandono dell’Ucraina. Che l’Ucraina in qualche modo non possa essere abbandonata al suo destino è chiaro ed è evidente, ma il modo con cui arrivare alla pace non è secondario. Che prima o poi questa crisi e questa guerra debbano arrivare a una fase di trattativa lo dico da tre anni. Quindi, ben venga. Il problema è come parte la trattativa e dove arriverà”.
Secondo Crosetto, ci sono dei paletti che devono essere tenuti fissi sul terreno, paletti che non possono essere superati per non trasformare la trattativa in resa?
“Il paletto cruciale, imprescindibile, è che tu non puoi consentire a uno stato di occupare il territorio di un altro stato perché lo ha deciso da solo, dal mattino alla sera, e accettare questa cosa come se fosse normale, quasi scontata. C’è chi ha preso per vera la favoletta della russofonìa: una stupidaggine colossale. Anche perché lo stesso Zelensky parlava meglio russo che ucraino. Questa guerra ci ha rivelato il potere enorme della disinformazione e la qualità di quella russa, che in Italia si è radicata di più che in altre nazioni. La guerra ibrida, cyber, la disinformazione, sono ormai parte della quotidianità. La simpatia di cui gode, in molte, troppe persone, Putin in Italia non è un sentimento spontaneo, ma il frutto di anni di lavoro scientifico. Nessuno può negare che noi siamo sempre stati amici della Russia, ma come puoi non conservare la capacità di discernere, giudicare? Immaginiamo che io sia sempre stato amico di Mario. Ma se Mario sta uccidendo un altro mio amico, cerco di fermarlo in ogni modo e metto da parte immediatamente l’amicizia perché la realtà cambia il mio sentimento! C’è gente in Italia che ritiene che siccome Mario era mio amico non devo dirgli nulla e che devo girarmi dall’altra parte perché non è un mio problema”.
Come si può arrivare all’obiettivo di non accettare che un paese conquisti con la forza pezzi un altro paese? Cosa si può fare, nel concreto, per evitare che le trattative in Ucraina non si trasformino in concessioni inaccettabili alla Russia?
“Io spero di arrivare a una tregua e a una pace perché quello che sta succedendo in Ucraina ogni giorno è inaccettabile, pesantissimo, violento, vergognoso”.
Descriva un giorno in Ucraina.
“Un giorno in Ucraina è un giorno nel quale cadono 300 bombe di aereo su tutto il paese. E’ un giorno in cui cadono 4-5 mila razzi. E’ un giorno in cui cadono 2-300 droni esplosivi. Ogni santo giorno, da 1.100 giorni. Senza interruzione. Si parla di 42 mila bombe di aereo all’anno. 12.000 droni Uav all’anno. Si parla di migliaia di colpi di artiglieria di ogni tipo: 4-5 mila al giorno. E’ pazzesco. Se lei vedesse, su uno schermo di controllo dello spazio aereo, cosa succede nei cieli ucraini, vedrebbe ogni giorno partire decine di aerei e missili dal nord, da est, da sud est, che entrano nel loro territorio, in ogni parte del loro territorio. E’ una cosa difficile da spiegare, e che a nessuno interessa qui in Italia, o almeno a pochi. E io trovo totalmente umiliante dover discutere in Parlamento con gente che mi dice ‘basta aiuti perché la guerra deve finire’. Basta aiuti che significa? Significa lasciare che quelle migliaia di missili colpiscano indisturbati i loro obiettivi? Se ne ho la possibilità, perché non posso aiutare una persona che viene attaccata ingiustamente, a difendersi? Io non riesco a capire come si può far finta di non vedere. A meno che io non sia alleato di quello che attacca, oppure al soldo di chi attacca, ecco. E quello che in troppi non capiscono è che quello che succede in Ucraina oggi, potrebbe accadere in altri paesi europei”.
Ma è credibile questa minaccia, è possibile che dopo l’Ucraina, per Putin, ci siano altri paesi europei?
“I paesi baltici ci credono. La Polonia ci crede. E anche i tedeschi. Il mio collega tedesco ha detto pubblicamente che nel 2030 potremmo essere in guerra, ed è una persona moderata”.
Anche la Finlandia ci crede.
“Certo. Anche la Svezia, se è per questo. E la Svezia era come la Svizzera, un paese da sempre neutrale. Ma ora ha deciso di entrare nella Nato. Sono nazioni che per anni hanno scelto di non armarsi e che ora temono per il proprio futuro. E si stanno armando per paura. Dobbiamo fare i conti con la realtà anche quando non ci piace, e tantomeno possiamo voltarci dall’altra parte”.
Lo scopo dei paesi occidentali, di fronte all’Ucraina, sarà quello di provare a restituire con la politica quello che non si è riuscito a riconquistare con la guerra, giusto?
“Dovrebbe essere quello. Tra restituire tutto subito e lasciare alla Russia tutto per sempre ci sono migliaia di ipotesi di soluzione. Da un po’ di tempo alcuni parlano di contingenti multinazionali di pace che, in qualche modo, si sostituiscano alle truppe di occupazione mentre iniziano le trattative di pace. Ma stiamo parlando di territori che, il giorno in cui fossero restituiti a chiunque sia, hanno bisogno di decenni per essere bonificati dalle mine e dai danni ricevuti. Ci sono milioni di mine disseminate ovunque, c’è una striscia di centinaia di chilometri fatta di manufatti di cemento, trincee, fili spinati. E’ tutto stravolto, tutto distrutto. Il tema principale è che il percorso di pace deve essere accettato dall’aggredito, non imposto da altri”.
L’Ucraina deve entrare o no nella Nato?
“Si, ma penso che questo è un tema che farà parte del tavolo di pace. La Russia lo metterà sul piatto. Noi abbiamo detto, in questi anni, che l’Ucraina entrerà a far parte della Nato e dell’Unione europea. E’ l’Ucraina che deve scegliere. Non è che dobbiamo pensare noi o la Russia a parlare per loro”.
Quando il ministro Crosetto va in Ucraina e parla con tutti i principali esponenti della difesa e dell’esercito, che cosa gli viene richiesto?
“Munizioni, proiettili, artiglieria, mezzi terrestri, mezzi aerei, mezzi navali. Qualunque cosa possibile per difendersi. Ma principalmente la difesa aerea”.
E di fronte a quelle richieste, Crosetto cosa dice?
“Dico quello che ho detto finora: ti do tutto quello che riesco a darti”.
Siamo nel giorno dell’inizio di una tregua, quella in medio oriente. E’ corretto, secondo lei, dire che in questa fase nuova sarà importante che la comunità internazionale si concentri principalmente sullo sradicamento anche politico di Hamas? E’ corretto dire che per tutelare la pace bisogna concentrarsi sui terroristi?
“Non puoi pensare di mantenere in vita e in attività, in quella zona, delle organizzazioni il cui scopo è la distruzione di Israele, la sua cancellazione dalle carte geografiche. Hamas non è un semplice partito che si contrappone ad Abu Mazen, è un movimento terroristico che ha come scopo l’occupazione di un territorio per poter distruggere Israele, che non chiama neanche Israele, ma entità sionista. La stessa cosa vale per Hezbollah. E per gli houthi. Non puoi pensare che esista un equilibrio o una stabilità in una zona in cui ci sono più entità che vogliono distruggere il loro vicino. La pace passa attraverso uno sradicamento politico, culturale, sociale, del terrorismo. E pure per il rafforzamento di uno stato palestinese che abbia l’obiettivo di diventare stato, di dare servizi e ricchezza ai suoi cittadini, di ricostruire e non di distruggere altri”.
Un anno e mezzo dopo l’inizio del conflitto, il fronte del terrore, se così possiamo chiamarlo, alimentato dall’Iran: è più debole o più forte?
“E’ evidentemente più debole perché Hamas e Hezbollah sono più deboli e perché il ‘fronte del terrore’ è stato a sua volta colpito in profondità. Ma questa debolezza va coltivata, va usata per costruire alternative positive, per far evolvere un atteggiamento e mentalità diverse. Questo è il motivo per cui, noi ad esempio, non da oggi, ma da due anni, stiamo lavorando al rafforzamento delle forze armate libanesi. E’ questo l’unico modo per indebolire definitivamente Hezbollah, che è oggi l’unica forza militare organizzata ed efficiente in Libano. Se io rafforzo le forze armate statali posso pensare di disarticolare quell’esercito parallelo che risponde all’Iran e non alle istituzioni libanesi. Devo far diventare Hezbollah sempre più debole e meno attrattiva. Per questo ci siamo posti, come obiettivi militari e politici, non solo quello di formare e di equipaggiare le Laf (Lebanese Armed Forces), ma anche quello di assicurare loro uno stipendio almeno pari a quello che viene pagato dall’Iran agli Hezbollah. Se siamo arrivati a questa tregua è anche grazie al lavoro che, tutti insieme, abbiamo fatto nei due anni precedenti e che ha consentito a Israele di credere in questa possibilità. Stiamo mettendo in piedi un’alleanza, un gruppo di ‘Paesi donatori’ che comprende paesi occidentali e paesi arabi. Lo fa, in silenzio, proprio l’Italia e in qualità di paese capofila. Lavoriamo zitti, sodo, e basta. Lo riconoscerete dai frutti”.
Quale sarà il post conflitto più difficile tra medio oriente e Ucraina?
“Adesso è più difficile da immaginare in Ucraina. In medio oriente l’attività israeliana ha indebolito i nemici della pace. In Ucraina il nemico della pace è la Russia e non è più debole, anzi. Sarebbe più debole se per Putin contassero i morti, ma per lui non contano né i morti né il tempo, come dico da anni. La Russia ha un’economia di guerra per cui produce, anche grazie a Iran, Cina e Corea, molte più armi di quelle che produceva tre anni fa”.
E’ credibile che Trump possa triangolare con i sauditi come fece già nella sua prima esperienza alla Casa Bianca, per provare a indebolire ulteriormente l’Iran e per provare a stabilire una pace anche tra palestinesi e Israele?
“L’Iran è un elemento di crisi sempre costante, e non solo per gli Stati Uniti, ma per tutti i paesi del medio oriente e i paesi arabi moderati del Golfo in particolare. L’Iran è un attore non dialogante, ma che cerca di predominare, di occupare anche culturalmente, di inoculare integralismo. E’ un problema principalmente per i paesi arabi moderati, non per i paesi occidentali. E’ un competitor fondamentale per destabilizzare quei paesi ed è ovvio che il loro desiderio sia quello di un Iran più stabile, meno problematico, meno aggressivo”.
Tema spazio: Starlink quanto è un’opportunità e quanto una minaccia o entrambe le cose? Per cosa viene già usato dall’Italia e dall’esercito?
“Viene già utilizzato per le comunicazioni non classificate, tipo quelle dei militari che sono su una nave e devono chiamare casa. Se io ho una nave, ho il Vespucci, per dire, o ho qualunque nave che naviga in mezzo all’Atlantico o al Pacifico, l’unico modo per comunicare, ovunque mi trovi, spesso è quello. Ma parliamo di un tipo di utilizzo paragonabile a quello di Tim o di Vodafone”.
Quali sono invece le comunicazioni riservate che un domani potrebbero essere affidate a Starlink?
“Le comunicazioni tra una nave e lo stato maggiore, le comunicazioni strategiche, i dati rilevanti, per esempio. Quelle sono comunicazioni che devono passare su un canale protetto e non devono in nessun modo essere intercettate o conosciute”.
Attualmente quelle comunicazioni come avvengono?
“Quelle comunicazioni avvengono attualmente attraverso sistemi satellitari che abbiamo in orbita e sono chiaramente cifrate”.
E perché allora è necessario trovare un altro sistema?
“Perché quelli che ci sono non coprono tutto, cioè non coprono qualsiasi posto nel mondo, in ogni momento”.
Cioè ci sono dei posti in cui potrebbe non funzionare?
“Sì. Poi c’è il tema che le applicazioni più complesse hanno necessità di una latenza più bassa possibile. Cioè: tu hai diversi tipi di satelliti, hai quelli geostazionari che si muovono in modo sincrono con la Terra a circa 36.000 km di distanza, cosa che consente loro di poter coprire in modo continuo una parte molto grande di territorio terrestre. E poi ci sono i satelliti tipo quelli di Starlink, che sono satelliti in orbita bassa, cioè lanciati a un’altitudine compresa tra i 200 km e i 1.200 km dalla crosta terrestre, che ruotano molto velocemente attorno alla Terra e ti danno una latenza bassissima nelle comunicazioni. Poi ci sono anche i satelliti in orbita media e quelli eliosincroni che sorvolano un dato punto della superficie terrestre sempre alla stessa ora solare locale. Ognuno ha caratteristiche diverse. Qual è l’approccio italiano? Usarli tutti, usare quelli a orbita bassa, media e alta. Splittare in tre le comunicazioni riservate, sempre cifrate, in modo tale che nessuno le abbia. Per cui il tema della sicurezza rispetto al sistema di Musk è capzioso perché noi da due anni e mezzo stiamo pensando a come utilizzare tutti i sistemi presenti, compresi quelli europei, per comunicare in ogni condizione e in ogni luogo sia necessario, proteggendo la nostra sicurezza. Siamo uno dei pochi paesi al mondo ad avere le tecnologie per poterlo fare in sicurezza cifrando, splittando e rendendo le nostre comunicazioni sicure qualunque sia lo strumento che pensiamo di usare. Adesso si stanno preoccupando tutti della sicurezza di Musk e poi usiamo telefonini dove passa ogni tipo di informazione possibile, che sono telecamere e microfoni aperti 24 ore su 24, utilizzabili con facilità da chiunque, e nessuno si preoccupa di un problema gigante di privacy”.
Ci si può anche preoccupare contemporaneamente dei Trojan e di Musk!
“Il problema è che mentre noi proteggeremo i nostri dati e le nostre trasmissioni, come difesa e come nazione, qualsiasi sistema decideremo di usare, nessuno o quasi si preoccupa di tutto il resto, come la penetrabilità e la vulnerabilità cyber di tutto il nostro sistema informativo. Io sono molto più preoccupato della penetrabilità cyber quotidiana. In questo momento, mentre parliamo, abbiamo decine di attacchi cyber e li subiamo ovunque”.
Quanti sono gli attacchi cyber quotidiani?
“Centinaia, ovunque. Ho scoperto che un paese, non dico quale paese, si è studiato tutto il nostro bilancio entrando nel sito del Mef, chissà perché. Ci sono intercettazioni di dati che alcune nazioni immagazzinano anche se non riescono a decifrarli perché sanno che lo sviluppo tecnologico prima o poi consentirà loro di poterli utilizzare. La tecnologia quantistica, infatti, sarà in grado di superare qualunque cifratura attuale. Per questo noi ci stiamo preparando, studiando una cifratura quantistica”.
Musk ci porta all’ultima parte del nostro ragionamento, cioè il Musk politico, il Musk che sostiene i partiti più estremisti. Non c’entra con la sicurezza, è un discorso di altro tipo.
“Ma quello è un altro tema. Il monopolio che ha Musk, come qualunque monopolio mondiale, non è una cosa irrilevante ed è un potere eccessivo. Il problema è: signori, vi svegliate adesso? La prima volta che ho parlato di Starlink con l’amministratore delegato di Avio e del fatto che i lanciatori di Musk avrebbero messo in crisi i nostri lanciatori, è stato sette anni fa. La prima volta che ho parlato del fatto che la copertura delle aree nere grigie col satellite sarebbe stata molto più conveniente rispetto a quella della fibra, è stato cinque anni fa. Musk non è nato oggi, ma ha fatto comodo far finta che non esistesse e continuare con investimenti in tecnologie che lui avrebbe spazzato via”.
Non sfuggiamo però dal punto: il Musk politico, il Musk che sostiene partiti estremisti in Europa. Sul Foglio l’abbiamo chiamata la Decima Musk. Non vi fa paura?
“Per fortuna non è una persona come Musk che può influenzare il voto in Germania, ma vale per lui lo stesso ragionamento che ho fatto per l’Italia e ogni altra nazione: non mi piacciono i tentativi di influenza esterna sui processi democratici nazionali. Noi l’abbiamo patita sulla nostra pelle e l’abbiamo sempre combattuta”.
Possiamo dire che Crosetto si augura che Trump non segua le indicazioni politiche di Musk in Europa?
“Guardi, secondo me, Musk non influenzerà Trump. Il lavoro principale che farà Musk, e voglio vedere come lo farà, sarà quello che gli ha affidato Trump, cioè di incidere sulla spesa statale americana. E poi vediamo quanto durerà il rapporto tra due persone molto forti come sono loro”.
Però c’è un disegno storico di Trump in Europa. Assecondato anche da Musk. E quel progetto è semplice: indebolire l’Europa, renderla più fragile, più vulnerabile, meno competitiva. Ci auguriamo che questo sia uno scenario che questo governo farà di tutto per evitare. O no?
“Le dico una cosa molto dura: l’Europa non è più un problema per nessuno”.
In che senso?
“Purtroppo, l’Europa non è più un competitor industriale perché si è quasi autodistrutta. Non è un competitor economico perché anche lì si è indebolita e relegata a un ruolo comprimario sia nella finanza che nei valori azionari. Non è un competitor sulle energie e le materie prime perché non ne abbiamo e siamo totalmente dipendenti da altre nazioni, in primis la Cina, per tutti i materiali strategici e quelli necessari per le nuove tecnologie, come le terre rare. L’Europa ogni anno è molto meno interessante e molto meno rilevante nel mondo. Solo noi non ce ne accorgiamo. Noi siamo in decadenza, nemmeno più lenta, ma rapida, grazie agli errori madornali dell’approccio burocratico-ideologico con cui Bruxelles ha gestito gli ultimi decenni del suo governo. Abbiamo pensato di poter utilizzare il potere regolatorio per educare il mondo e il mondo ci ha marginalizzato mentre noi ci legavamo da soli mani e piedi. Occupiamo ancora palazzi bellissimi che non siamo più in grado di mantenere. Non ce ne rendiamo conto e ci stiamo autodistruggendo. Le pare normale che nessuno si sia preso la responsabilità politica di ciò che sta accadendo nell’industria automobilistica europea, tedesca in primis, e che si trascina dietro anche la catena di forniture dell’Italia? Noi abbiamo inseguito un obiettivo ideologico, regalando l’auto alla Cina, quando eravamo i padroni assoluti dell’auto e quando sapevamo bene, ormai, che il ciclo completo, l’auto elettrica, inquina molto di più di un’auto tradizionale con i nuovi carburanti bio, dove l’Italia, per esempio, sarebbe leader con l’Eni”.
E cosa può fare l’Italia per provare, nel suo piccolo a far diventare più rilevante l’Europa? Rinunciatari, no grazie.
“La sfida la vinci con la velocità. Serve un’Europa veloce, pragmatica, che competa per assenza di burocrazia e opportunità finanziarie. Trump, che governerà una delle nazioni meno burocratiche al mondo, vuole eliminare ancor più burocrazia, noi la aumentiamo. Non abbiamo politiche d’investimento, ci facciamo competizione dall’interno, per cui l’Olanda ha una legislazione che sottrae holding italiane. Noi non abbiamo più holding, grandi holding italiane, che abbiano sede in Italia. Non esiste cooperazione per i grandi problemi perché la politica estera della Francia, per dire, è diversa da quella della Germania, ed è diversa da quella dell’Italia. Guardi Macron. Il presidente francese si muove per l’Europa? No, si muove per la Francia. Ieri ha annunciato una conferenza per la ricostruzione del Libano. Lo ha fatto da solo, come se l’Europa non esistesse. Come se nessuna nazione europea esistesse. Perché, politicamente, in politica estera è drammaticamente sempre così. Nel trattato di pace che è stato fatto in Libano, ad esempio, con il meccanismo a 4, poteva esserci l’Italia, che è stato uno dei maggiori paesi contributori, e invece non c’è, nonostante ci volesse Israele, nonostante ci volesse il Libano e nonostante ci volessero gli Stati Uniti. Perché non c’è? Chiedere alla Francia. Questa è l’Europa. Quindi, quando parliamo di Europa unita parliamo di un sogno che nella realtà quotidiana non si vede, non esiste, è una pura chimera, se non attraverso una sempre meno accettabile attività regolatoria. L’esempio più evidente (sì, so di parlare di una cosa ridicola e lo faccio in modo provocatorio) sono i nuovi tappi per le bottiglie di plastica: vaste programme”.
Attrattività che manca, burocrazia che non viene sburocratizzata, competitività che viene trascurata, imprese lasciate al loro destino: stiamo parlando dell’Europa o stiamo parlando dell’Italia?
“Ma guardi che il governo di cui faccio parte è il primo governo che ha lanciato allarmi su tutti questi argomenti, e non solo: sta provando a modificare le cose. Ha lanciato anche una sfida che l’Europa non ha ancora capito. Un’Europa che è priva totalmente di materie prime vive se si aggancia all’Africa. Vive se diventa il primo motore di scambio e di ricchezza dell’Africa. Cooperando non depredando. Questa non riusciamo ancora a spiegarla”.
La domanda era specifica. Imprese, burocrazia e competitività. Possiamo dire che su questi temi serve una nuova fase, anche uno scatto da parte del presidente del Consiglio e del vostro governo?
“Guardi, il governo ha lavorato in questi due anni e mezzo e ha consolidato una credibilità che quando siamo arrivati non avevamo, anche per la disinformazione atta ad avvelenare i pozzi. Tutto il mondo era contro di noi. L’Italia ora ha il ministro dell’Economia che vince il premio come il miglior ministro dell’Economia d’Europa ed ha uno dei premier più considerati e autorevoli in Ue e nel mondo”.
Credibilità e affidabilità. Manca l’attrattività. Manca la capacità di sapere guardare al futuro. La visione. La creatività e il coraggio per aiutare le imprese. Non trova?
“La prima parte è consolidata. Adesso, è vero, bisogna fare uno scatto e lavorare sulla competitività e sull’attrattività dell’Italia. Si può fare di più. E penso che questo sia l’obiettivo dei prossimi anni. Anzi dei prossimi sette anni e mezzo di Giorgia Meloni. Vedrà – dice Crosetto con un sorriso – ci scommetto sopra quello che vuole”.