C’è un Salvini da promuovere

A dispetto delle polemiche sui treni, ecco la maturazione riformista del ministro. Il buon lavoro sul codice appalti, le proposte innovative per affrontare il Pnrr e la congestione ferroviaria, e i tecnici a cui si è affidato

Pochi conoscono Elena Griglio e Davide Ciferri nei giri della politica romana. Eppure, se Matteo Salvini – nella bufera ferroviaria che secondo l’opposizione dovrebbe dimissionarlo – porta a casa oggi un bilancio complessivamente positivo al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, lo deve soprattutto a loro due.



Sorprendentemente positivo, aggiungono quelli che di quel ministero conoscono storia, insidie e fatiche. Perché il ministro si era presentato negli stanzoni ottocenteschi di Porta Pia con la sua solita faccia: interessato al consenso politico, alle battaglie che danno visibilità mediatica, agli slogan che parlano alla pancia del Paese. Il Ponte sullo Stretto era stato fin dall’inizio l’emblema di questo spirito, anche se gli era costato alcune unghiate dolorose del presidente dell’Autorità anticorruzione, Giuseppe Busìa. Poco altro, nel primissimo Salvini di Porta Pia. Nessuno fra gli stakeholder di quei mondi impattati dal ministero che producono una bella fetta di pil avrebbe scommesso un euro sulla possibilità che potesse sostenere sfide enormi per chiunque, come la riforma del codice degli appalti e il tornante pericolosissimo del Pnrr. La prima l’ha vinta, la seconda la sta combattendo.



Nessuno avrebbe scommesso neanche su un percorso capace di costruire policy su temi-chiave del Paese, come la casa, l’acqua, la riforma del testo unico dell’edilizia e della legge urbanistica. Tutte riforme abbozzate, prive di risorse adeguate e fragili, ma che vanno nella direzione giusta. Molti avevano scommesso, invece, su un ruolo decisivo del viceministro Edoardo Rixi, pure lui della Lega, uno che su tutte queste cose ha idee piuttosto chiare e precise da tempo. Salvini gli ha concesso solo scampoli di spazio politico (prevalentemente nella sua terra a Genova) e per il resto lo ha silenziato, certamente usufruendo del suo aiuto decisivo nel silenzio delle stanze ministeriali. Il ministro non gradisce la concorrenza di altri politici, è noto, soprattutto del suo partito, ma ai tecnici sorprendentemente ha dato spago, per ora.



Qui tornano in campo Elena Griglio e Davide Ciferri. La prima è la capa dell’ufficio legislativo di Salvini, il secondo è il capo della task force sul Pnrr del ministero delle Infrastrutture. La prima, fedelissima del ministro, il secondo ereditato dalla gestione Giovannini e confermato dopo molte diffidenze. Nella fiducia accordata a questi dirigenti sta l’incredibile chiave del nuovo Salvini. La prima ha gestito con capacità e determinazione la partita del codice appalti, in cui il rischio di sbagliare e di essere impallinati da mille pressioni e norme complicatissime è altissimo. Il secondo lavora sul piano e tiene i rapporti con la commissione Ue. Se il Salvini del codice appalti può tirare un sospiro di sollievo, il Salvini dell’attuazione del Pnrr è nel pieno della partita ed è adesso che deve sfornare le idee migliori per tramutare i ritardi degli investimenti ferroviari e di rigenerazione urbana in una prospettiva nuova.

Non sparate sul correttivo appalti

Il decreto correttivo del codice appalti è entrato in vigore il 31 dicembre scorso. Molti hanno sparato sulla nuova disciplina che però è un’operazione destinata ad avere successo. Restano aree critiche che potrebbero produrre contraccolpi nel medio periodo, ma l’impianto del codice esce rafforzato.

Il decreto correttivo del codice appalti smina il principale elemento di criticità di sistema: l’equo compenso per i professionisti della progettazione



Giornali e istituzioni autorevoli hanno scritto o detto che il 2024 ha visto un crollo delle procedure di appalto rispetto al 2023 e che questo è attribuibile al codice, operativo dal 1° luglio 2023. Fare un confronto dei dati 2024 con il 2022-2023, biennio drogato dal Pnrr, non ha alcun senso. Il mercato degli appalti è oggi il 30 per cento sopra al 2021: solo questo conta. Il decreto Salvini non doveva portare discontinuità, bensì un aggiustamento mirato su aspetti singoli che non funzionano o sono congelati. Questo è stato. Il decreto consolida il codice, smina il principale elemento di criticità di sistema (l’equo compenso per i professionisti della progettazione) e ne rafforza la principale riforma (la revisione prezzi che dovrebbe rendere più fluida la realizzazione dei lavori). Inoltre, trasforma la pallida paternità politica del 2023 in una forte paternità politica. Salvini ci mette la faccia, ridimensionando il ruolo di Palazzo Chigi e intestandosi le nuove riforme. Ora c’è un “codice Salvini”.



Restano alcuni grandi problemi e su questi si misurerà la maturazione politica del nuovo Salvini nei prossimi mesi. Il primo è il bombardamento, in nome di un liberalismo giuslavoristico, del contratto “unico” del settore che funziona bene e tutela i lavoratori con il sistema delle casse edili. Il secondo è il vulnus concorrenziale (il 90 per cento del numero di appalti va senza bando di gara) che le imprese sentiranno quando non ci saranno più i lavori Pnrr. Salvini ha il vantaggio che, dopo aver vinto nel settembre 2023 il primo round con la Ue sulla verifica degli obiettivi Pnrr, incorcerà di nuovo il tema concorrenza non prima del 2026, perché oggi il Pnrr congela tutto e perché l’unica autorità in grado di piegare Salvini, la commissione Ue, è alle prese con nuove direttive appalti e la revisione complessiva del suo pensiero sulla concorrenza.

A che punto siamo con il Pnrr: idee per il paese

Ma la vera partita è il Pnrr. Salvini è consapevole che la pagella finale del 2026 si scriverà sulla base dell’esito della grande revisione del Piano che si sta mettendo in cantiere per febbraio. Urgono idee per spostare le risorse da progetti impantanati a progetti che marciano e per spostare l’attenzione dagli investimenti in ritardo al grande valore riformatore che il Pnrr ha avuto per l’Italia. La commissione Ue guidata ancora da Ursula von der Leyen, madrina di Next Generation Eu, non affonderà il colpo sull’Italia ma ha bisogno di buoni argomenti per dire che il Pnrr non ha fatto un buco nell’acqua.



Il punto di partenza è difficilissimo per tutti i ministeri e per il Mit in particolare. I più ottimisti al ministero sperano di spendere 15 miliardi dei 20 assegnati. Delle grandi opere ferroviarie si completerà soltanto l’alta velocità Brescia-Padova. Ma le idee per risolvere le criticità del Pnrr si stanno partorendo. La ricetta salviniana è triplice.

La sua prima idea sul Pnrr è la stessa da due anni: cancellare progetti bloccati per spostare le risorse su programmi che vanno avanti e tirano



La prima idea è scontata, è sempre la stessa da due anni: cancellare progetti bloccati per spostare le risorse su programmi che vanno avanti e tirano. Meno grandi opere e acquisto di treni e autobus elettrici (che sono addirittura in vantaggio sui tempi previsti).



La seconda idea è una necessità: far passare a Bruxelles un principio contabile per spostare la rendicontazione dalle performance alla spesa. Non si riuscirà a far marciare i treni nel Terzo valico con le due gallerie previste? Si riconosca comunque il lavoro fatto e si cancelli non l’intero finanziamento – come era scritto nel regolamento originario Ue – ma solo la parte non spesa. E’ un gioco che dovrebbe ridurre al minimo i danni sulla contabilità nazionale.

La terza idea è quella geniale e sembra piacere alla commissione. Può cambiare i destini del Pnrr italiano, non solo per i trasporti: prendere le risorse che non si riescono a spendere e spostarle in fondi che finanziarizzino e alimentino nuove riforme sfidanti o mutamenti strutturali di mercato proiettati oltre il 2026. Nuove riforme per sbloccare la capacità di spesa che il Pnrr non è riuscito a sbloccare. E’ una prosecuzione riformista oltre il 2026 che non potrà dispiacere alla commissione. E’ il Salvini riformista.



Fra queste proposte c’è la creazione di due fondi che il ministro e i suoi collaboratori hanno già prospettato agli uomini di Bruxelles.

Per la rigenerazione urbana ci sono 2,9 miliardi che non si riusciranno a spendere: la proposta allora è creare un fondo che finanzi il Piano casa



Il primo riguarda proprio le risorse della rigenerazione urbana che non si riusciranno a spendere, i cosiddetti Pinqua (Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare). Ci sono nel piano 2,9 miliardi, la metà rischia di saltare. La proposta è allora di costituire un fondo che sostenga una politica nello stesso settore. Un fondo che finanzi il Piano casa, lanciato dal ministro ma al momento privo di risorse adeguate. La casa è una delle nuove priorità della commissione Ue che per la prima volta ha previsto una delega ad hoc e chiederà agli Stati membri politiche adeguate. Il fondo che ha in mente Salvini non potrà essere destinato a interventi a pioggia, ma a un piano concordato con Bruxelles che risponda a obiettivi di performance: tot alloggi anno per anno.



Una variante che potrebbe piacere alla Ue è usare questo fondo come leva per coinvolgere finanziamenti privati e lanciare un nuovo modello di partenariato pubblico-privato in cui sia il pubblico a indicare condizioni, obiettivi, modalità. Uno strumento per dare soluzione a problemi sociali gravissimi, un nuovo social housing favorito dalla Ue.



Il secondo esempio è ancora più potente. Una delle barriere all’ingresso del mercato concorrenziale ferroviario e più in generale del trasporto pubblico, in Europa e in Italia, è il possesso del materiale rotabile che richiede investimenti cospicui e non accessibili a molti operatori. L’Inghilterra con la privatizzazione e la Svezia con una società pubblica hanno percorso già un modello di accentramento della proprietà del materiale rotabile in una rolling stock company (Rosco). L’Italia propone ora una società pubblica proprietaria del materiale rotabile ferroviario – e in prospettiva anche degli autobus per il servizio di trasporto pubblico locale. La svolta presenterebbe vantaggi attraenti anche per Bruxelles: darebbe continuità al lavoro di acquisto di treni e autobus non inquinanti fatto proprio con il Pnrr; standardizzerebbe i livelli di qualità delle prestazioni; contribuirebbe a deconsolidare il debito pubblico; potrebbe favorire la partecipazione di capitali pubblici; renderebbe più facile l’accesso a gare concorrenziali per l’aggiudicazione del servizio ferroviario a operatori diversi da Trenitalia, soprattutto a livello regionale (tutti i tentativi fatti finora sono falliti). E’ una delle aperture del mercato su cui Bruxelles ci bacchetta continuamente e la nuova stagione di gare prevista per il 2026 diventerebbe il passaggio verso una nuova epoca.

Un altro esempio più tradizionale di riforma, ma non meno innovativo, è quella della programmazione degli investimenti ferroviari. Qui siamo proprio nel cuore della capacità di spesa. Si passerebbe dal fallimentare modello del contratto di programma a un piano modellato su regole e standard Pnrr, con obiettivi di performance, scadenza strettissime, monitoraggi continui che sarebbero affidati, insieme alla valutazione preventiva degli investimenti, all’Autorità di regolazione dei trasporti, chiamata a svolgere il ruolo che oggi è della commissione Ue.



Le riforme sono già sul tavolo del confronto con Bruxelles e Salvini spinge in una direzione che potrebbe costruire la exit strategy per l’intero Pnrr. Anche i tecnici del ministro al Pnrr, Tommaso Foti, seguono la partita con interesse per capire se passa da qui la strategia italiana per superare l’esame finale del 2026. Dalla revisione di febbraio si capirà già se la “pista Salvini” avrà un seguito.

La congestione ferroviaria

Ma la partita attuale di Salvini è quella sulla congestione ferroviaria. Non si arriverà alle dimissioni che chiedono le opposizioni, ma il disagio degli italiani è crescente e questo basta per mettere in ansia il ministro che finora non è stato lucido sul punto. Salvini e l’amministratore delegato di Fs Donnarumma devono uscire dall’angolo e non saranno certo le sparate masochistiche sui boicottaggi a consentirlo. Serve qualche buona idea che aiuti l’Alta velocità a recuperare la credibilità perduta.

Tutta colpa della concorrenza? La rete è satura? Balle sulle ferrovie che servono a coprire la carenza di regolazione e di decisione



Anzitutto bisogna mettere da parte le favole: cha sia tutta colpa della concorrenza e che la rete sia satura. Balle che servono a coprire la carenza di regolazione e di decisione. La rete ferroviaria, anche quella ad Alta velocità, non è satura. Sui binari dell’AV passa un treno ogni quattro minuti, quando gli standard consentiti con la piena funzionalità dell’Ertms (European Rail Traffic Management System) arriveranno sotto i due minuti. Non parliamo del resto della rete convenzionale su cui viaggiano i pendolari: è sottoutilizzata e produce altra inefficienza.



I punti di saturazione della rete AV sono tre (Milano Centrale, Firenze Santa Maria Novella e Roma Termini): coincidono con stazioni di testa che comportano 15-20 minuti di occupazione dei binari da parte di un treno AV contro i tre minuti necessari per transitare lungo il passante Av di Bologna. Il problema è noto fin dagli esordi dell’Alta velocità che infatti aveva attestato in origine le fermate di Milano a Porta Garibaldi e di Roma a Tiburtina.



Si vuole affrontare l’emergenza? Il ministro dia indicazione di usare queste stazioni alternative, almeno nelle ore di punta e finché non finiranno i lavori del Pnrr. Nel rispetto delle reciproche competenze, d’intesa con l’Autorità di regolazione dei trasporti. Per il ministro è il momento di capire che, nel rispetto reciproco, le Autorità di regolazione sono sue alleate per risolvere i problemi che tormentano gli italiani.



L’altra misura inevitabile cui finora Salvini si è opposto è ridurre i treni che circolano sulla rete. Ma il punto è: quali treni? Perché alcuni viaggiano pieni e altri semivuoti. Anche qui un’alleanza ministro-Autorità aiuterebbe. Si può cambiare il pedaggiamento dei treni rispetto all’utilizzo dell’infrastruttura, applicando una penalizzazione, una sorta di congestion charge, ai treni che viaggiano con load factor basso. Meno passeggeri ci sono a bordo, più il canone cresce. Utilizzando questa leva in maniera decisa, si ridurrebbero i treni programmati dai gestori dei trasporti solo per impedire alla concorrenza di occupare la traccia.



Sono esempi per dire che molto si potrebbe fare per ridurre la congestione. Servirebbero volontà politica di agire e coraggio della regolazione. Questo è un banco di prova vero della maturità del nuovo Salvini, al di là di ogni retorica della politica. Se son rose, fioriranno.

Leave a comment

Your email address will not be published.