I mercati vedono dei rischi, ma l’ombrello della Bce funziona (per ora)

Per quanto sia incompleta, l’Eurozona ci protegge anche in un 2025 denso di incertezze. Due casi a confronto: Francia e Regno Unito

Come spiegato in precedenti articoli, il 2025 si presenta denso di incertezze – in particolare sull’inflazione, il debito pubblico, le politiche monetarie e fiscali, il commercio internazionale – che potranno accentuare la volatilità dei mercati finanziari internazionali. L’Europa ha tradizionalmente attraversato queste fasi con maggiori difficoltà. Secondo un vecchio detto, “quando l’America starnutisce, l’Europa prende il raffreddore”. Basta ricordare la grande crisi finanziaria del 2008-2009, che in Europa si è prolungata fino al 2012 a seguito del contagio della crisi del debito greco e della correlazione tra il rischio sui titoli di stato e quello delle banche dei rispettivi paesi. Uno dei motivi spesso evocati della fragilità europea è l’incompletezza del proprio assetto istituzionale.

La coesistenza di una moneta unica, gestita da una banca centrale indipendente come la Bce, con politiche di bilancio diverse nei paesi membri, rappresenta un fattore di debolezza. In assenza di un acquirente di ultima istanza dei titoli di stato, come è invece il caso dei paesi che hanno una propria banca centrale e una propria moneta, i partecipanti all’area dell’euro sono più a rischio. I mercati finanziari possono infatti temere che un rapido aumento del rischio sul debito di un paese possa immediatamente scoraggiare gli investitori e generare un “effetto palla di neve” che accelera il default del paese.

Dopo la crisi finanziaria sono stati fatti molti progressi per rafforzare l’assetto istituzionale dell’area dell’euro, che dovrebbero consentire di affrontare nuove turbolenze globali in una posizione più favorevole. Piuttosto che elencare le riforme introdotte negli ultimi anni – dalla vigilanza bancaria unica all’adozione di nuovi strumenti monetari da parte della Bce –, è più interessante verificare direttamente come i mercati valutano oggi i rischi nell’area dell’euro. Ciò può essere fatto mettendo a confronto due paesi che hanno una situazione abbastanza simile in termini di finanza pubblica e di crescita economica, ma di cui uno fa parte dell’area dell’euro, come la Francia, e l’altro che invece è fuori dall’Ue, come il Regno Unito.

In entrambi i paesi il debito è cresciuto nell’ultimo decennio di circa 15 punti rispetto al pil, ed è previsto continuare a salire nei prossimi due, al 105 per cento nel Regno Unito e al 118 per cento in Francia. Nel 2024 il disavanzo inglese dovrebbe attestarsi al 4,3 per cento, secondo il Fondo monetario internazionale, e scendere solo lievemente al 3,5 per cento nel 2026. Nello stesso periodo il passivo francese è indicato in calo dal 6 al 5,8 per cento. L’assenza di un bilancio per il prossimo anno, legato alla mancanza di una maggioranza chiara nel parlamento transalpino, rende qualsiasi previsione molto difficile. In entrambi i paesi la crescita è prevista debole, poco più dell’1 per cento all’anno nel prossimo triennio, e l’inflazione dovrebbe rimanere contenuta.

Nel complesso, la dinamica del debito pubblico desta preoccupazioni in entrambi i paesi, soprattutto in Francia, dove ai fattori economici si aggiungono incertezze politiche. Ciononostante, i mercati finanziari attribuiscono al debito inglese un rischio sostanzialmente più elevato. I rendimenti sui titoli di stato denominati in sterline con scadenza a 10 anni sono risaliti fortemente nell’ultima parte dello scorso anno e nei primi giorni del 2025, al 4,9 per cento, ben 141 punti in più rispetto ai titoli del Tesoro francese denominati in euro. Un anno fa, prima della dissoluzione e delle nuove elezioni del Parlamento francese, lo spread era di soli 90 punti. Il differenziale sui titoli a 30 anni inglesi e francesi è ancor più elevato, pari a circa 153 punti.

Tale evoluzione riflette in parte l’aspettativa di un deprezzamento della sterlina ma anche di una inflazione in aumento nel Regno Unito. I mercati sembrano anticipare che nel Regno Unito i problemi di finanza pubblica si tradurranno prima o poi in una politica monetaria più espansiva da parte della Banca d’Inghilterra. Nel caso francese, invece, i mercati credono che la Bce non allenterà la presa sull’inflazione. D’altro canto, ritengono che, in caso di difficoltà sulla finanza pubblica francese, la Bce sarà pronta a intervenire se necessario. Soprattutto se il nuovo governo francese ribadirà l’impegno di ridurre nel tempo il disavanzo e il debito. Il risultato di quanto sopra è che l’onere del debito pubblico per i contribuenti inglesi, pari a circa il 2,3 per cento del pil, è più elevato di quello francese (1,8 per cento), nonostante il debito più alto della Francia.


L’ombrello dell’euro sembra dunque funzionare, almeno per ora. E non solo nei confronti della Francia.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.