I nuovi poteri alla capitale arriveranno con un disegno di legge del governo. Intanto alla Camera iniziano le audizioni per la riforma
Come procedono le riforme chiave del governo? La Camera due giorni fa ha approvato in prima lettura la separazione delle carriere dei magistrati, l’autonomia differenziata è legge, ma tra mancanza dei Lep e i referendum che incombono, resta per ora una norma monca. E il premierato?La “madre di tutte le riforme” (copyright Giorgia Meloni) è stata approvata in prima lettura al Senato a giugno, ma lo sbarco alla Camera ancora non è previsto. Insomma, il percorso non è semplice. Lo stesso finora è accaduto anche per un’altra riforma che manca ancora all’appello: quella di Roma. Un provvedimento per dotare la capitale di maggiori poteri e capacità finanziaria, come, con diverse forme, avviene nelle altre capitali del resto d’Europa.
La riforma è una vecchia fissa a destra come a sinistra. Invocata dai sindaci di ogni coloro che si sono alternati in Campidoglio. Eppure, nonostante il consenso unanime, è sempre rimasta lettera morta. Era prevista anche tra le riforme che il governo Meloni si proponeva di realizzare. E così, adesso, la premier ha deciso di metterci la firma. Il testo – una sintesi delle diverse proposte parlamentari – sarà approvato dal Consiglio dei ministri, e arriverà quindi in Parlamento come una proposta del governo. Nella scorsa legislatura, in commissione Affari costituzionali, maggioranza e opposizione avevano trovato la quadra su un testo condiviso. La fine del governo Draghi però aveva azzerato tutto. E’ da lì però che in qualche modo si ripartirà.
Due giorni fa l’iter parlamentare si è avviato. Entro martedì 21 gennaio i gruppi potranno presentare in commissione la lista delle persone che ritengono sia utile audire, dando il via alla discussione. Si parte da due proposte di legge. La prima è un testo condiviso dal forzista Paolo Barelli e dal deputato di FdI Luca Sbardella. La seconda è stata presentata dall’ex assessore capitolino e deputato del Pd Roberto Morassut. Ma l’avvio della discussione parlamentare servirà solo a incardinare l’argomento. La sintesi per aggregare queste proposte, come dicevamo, arriverà direttamente con un disegno di legge del governo. Meloni vuole metterci la faccia. Anche perché sui punti chiave il consenso è trasversale. Lo dimostra la somiglianza che c’è tra la proposta del centrodestra e quella Pd. Alla bozza del testo di sintesi sta lavorando il senatore di FdI Andrea De Priamo. Ricalcherà più o meno le caratteristiche delle due proposte parlamentari.
Entrambe infatti puntano sullo stesso modello istituzionale: la trasformazione di Roma Capitale in una sorta di regione. Non una regione vera e propria – obiettivo che avrebbe richiesto un iter legislativo ancora più complesso di quello previsto per una riforma costituzionale – ma un ente con funzioni paragonabili a quelli di una regione. Con potere di legiferare su alcune materie e un numero di funzioni amministrative più vasto di quello oggi in capo al comune. A differenza delle regioni però Roma non avrà competenza sulla sanità che, è bene ricordarlo, copre oltre il 75 per cento dei bilanci delle regioni. In compenso però Roma potrebbe recepire direttamente diversi fondi nazionali (come quello sul trasporto pubblico) e potrebbe partecipare direttamente all’assegnazione dei fondi di coesione regionale della Ue. Inoltre, la devoluzione di materie porterebbe alla Capitale anche personale, sia dai ministeri sia dalla regione Lazio.
Rispetto alle proposte di Barelli, Sbardella e Morassut, il testo finale avrà una piccola, ma significativa differenza: le nuove competenze amministrative del comune saranno stabilite con una legge ordinaria. Un modo per evitare il braccio di ferro tra comune di Roma e regione Lazio che si creò con la prima riforma di Roma capitale: le competenze sarebbero dovute essere devolute al Campidoglio dalla Regione attraverso una legge regionale, ma nonostante all’epoca i due enti avessero lo stesso colore politico – a Palazzo Senatorio c’era Gianni Alemanno e in regione Renata Polverini – lo scontro portò alla devoluzione solo di un numero estremamente circoscritto di funzioni.