Trump ora fa da scudo a TikTok, ma c’è di peggio in arrivo

L’operazione Xiaohongshu, il social network cinese considerato una minaccia ben peggiore della piattaforma di Bytedance. Le giravolte del prossimo presidente americano che invita alla sua inaugurazione Shou Zi Chew, ad di TikTok, e il salvataggio in extremis

La Corte Suprema degli Stati Uniti conferma la legge che prevede il controverso divieto di utilizzare TikTok da domenica, bocciando il ricorso della piattaforma presentato in nome della libertà di espressione. Secondo la legge approvata dal Congresso americano e firmata da Joe Biden, entro il 19 gennaio ByteDance deve cedere le attività negli Usa per evitare il bando. La decisione è stata presa all’unanimità, evidenziano i media americani. La Corte Suprema riconosce che per 170 milioni di americani TikTok rappresenta tra l’altro “una fonte di comunità”, ma rileva al contempo come il Congresso si sia concentrato sui timori relativi alla sicurezza nazionale.

Lunedì prossimo, all’inaugurazione del presidente americano Donald Trump, fra Mark Zuckerberg, Jeff Bezos e soprattutto l’uomo-ombra del tycoon, Elon Musk, potrebbe esserci anche Shou Zi Chew, ad di TikTok. Se fosse confermato, sarebbe l’ingresso ufficiale dell’uomo che solo qualche anno fa in America era considerato parte integrante del sistema d’influenza del Partito comunista cinese nel gotha delle big tech americane. La notizia della sua presenza al gran ballo di Trump è arrivata più o meno nelle stesse ore di un’altra indiscrezione: qualunque sarà la decisione della Corte suprema americana sul ban o la vendita di TikTok (la deadline scade nelle prossime quarantotto ore), il prossimo presidente americano sarebbe pronto con un ordine esecutivo che sospenda l’applicazione della legge di almeno due mesi, il tempo per salvare TikTok in America. Il fatto che Trump usi un ordine esecutivo per salvare TikTok ha un valore simbolico ma anche politico: soltanto cinque anni fa, precisamente il 6 agosto del 2020, dopo mesi di minacce l’ex presidente americano aveva firmato un ordine esecutivo “sulla gestione della minaccia rappresentata da TikTok”. Quell’ordine esecutivo non portò poi a nulla, la procedura formale era stata criticata ma in sostanza Trump chiedeva a Bytedance la stessa cosa che poi ha chiesto l’Amministrazione Biden, ma con una legge regolarmente approvata dal Congresso.

La battaglia fra Washington e il social network è iniziata almeno cinque anni fa, e nel frattempo ci sono stati studi, report, la famosa audizione di Shou Zi Chew al Congresso, le frequenti dichiarazioni di Trump contro TikTok, colpevole di raccogliere una enorme quantità di dati degli utilizzatori americani e di metterli a disposizione della leadership cinese – questo avviene per legge, in Cina: tutte le aziende sono obbligate a mettere a disposizione del governo, qualora richiesto, i loro dati. E Trump stesso menzionava il problema della censura e della manipolazione delle informazioni: “L’applicazione può anche essere utilizzata per campagne di disinformazione a vantaggio del Partito comunista cinese”, si legge nel testo dell’ordine esecutivo di cinque anni fa. Ma adesso il mondo è cambiato, e Trump ha cambiato idea su TikTok per ragioni che sono ancora oscure, ma che secondo i media americani hanno a che fare con il patto di non belligeranza che avrebbe stretto con Pechino e forse – dicono i più complottisti – anche con l’aiutino che la disinformazione di TikTok potrebbe aver dato alla sua rielezione. Per ora, dunque, la legge americana firmata da Biden sulla vendita o il ban di TikTok, qualunque sia la decisione della Corte suprema, resta sospesa: fonti della Casa Bianca ancora in carica hanno fatto sapere ieri alla stampa che “gli americani non dovrebbero aspettarsi che TikTok chiuda improvvisamente domenica prossima”, e che anche i funzionari di Biden stanno “esplorando delle opzioni” per implementare la legge, lasciando che la decisione (ormai prevedibile) sia lasciata a Trump.

Del resto, gran parte della difesa di TikTok in questi ultimi mesi si basa su un tema molto caro sia al tycoon sia al suo sodale Musk: il ban del social cinese violerebbe la libertà d’espressione e il feticcio dei social senza regole che ha trasformato il vecchio Twitter in X e – guarda caso – ha premiato finora soprattutto l’estrema destra e in generale il complottismo e le fake news. Secondo i critici di TikTok, compreso il futuro segretario di stato di Trump, Marco Rubio (a meno che anche lui non abbia cambiato idea) la verità è che i social cinesi rappresentano un problema per la sicurezza nazionale, in particolare per la gestione dei dati, di controllo delle operazioni e di trasparenza, ma non c’è niente del principio di libertà sulla piattaforma cinese. E lo dimostra il più recente caso del social network Xiaohongshu (noto anche come “Little Red Book”, poi abbreviato in REDnote), un altro social fondato nella città cinese di Shanghai dove si sono trasferiti gran parte degli “esuli” americani di TikTok (insomma, il Bluesky del momento). La società Sensor Tower ha detto alla Cnn che i download di Xiaohongshu “da dispositivi mobili negli Stati Uniti sono quasi triplicati nell’ultima settimana”, e l’hashtag #TikTokRefugee ha raccolto quasi 250 milioni di visualizzazioni e oltre 5,5 milioni di commenti. Solo che con l’aumento degli utenti stranieri, sono iniziati anche i problemi con la censura, a maggior ragione per una piattaforma non abituata a certi numeri: l’altro ieri Xiaohongshu ha annunciato “l’urgente reclutamento di revisori di contenuti inglesi”, e qualche ora prima aveva già reso nota una implementazione del sistema di controllo dei post – che vuol dire aderire alle regole richieste dall’Amministrazione del cyberspazio, il regolatore e censore nazionale di internet della Repubblica popolare. Rush Doshi, che ha lavorato nel team Cina di Biden, ha scritto ieri su X che questa settimana, “con l’afflusso di americani su Xiaohongshu, assistiamo a un’interazione online molto più diretta tra cittadini statunitensi e cinesi”, ma che la leadeship cinese “non ha sempre accolto con favore questa cosa, ed è in parte per questo che ha vietato i social media stranieri, quindi il recente successo di Xiaohongshu rappresenta anche un banco di prova per loro”. E’ un’interazione diretta fra cittadini comuni che Doshi non vedeva da vent’anni, ma “detto questo, Xiaohongshu”, se dovesse sopravvivere alla censura di Pechino, “pone tutti gli stessi problemi di TikTok e probabilmente di più agli Stati Uniti”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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