Senza l’intervento dei giudici di Washington, è probabile che sarà reso impossibile scaricare l’app. La battaglia tra sicurezza nazionale e libertà d’espressione non riguarda solo gli Stati Uniti, ma è una questione globale
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso, per ora, di non decidere. La tanto attesa decisione sul caso relativo alla piattaforma TikTok ieri pomeriggio non è arrivata anche se da qui al 19 gennaio, data prevista per la messa al bando dell’app nel caso di mancata cessione del controllo da parte della cinese ByteDance, potrebbe comunque arrivare in ogni istante un emergency order con una decisione sul caso. La Corte è stata chiamata a decidere sulla costituzionalità del Protecting Americans from Foreign Controlled Applications Act, una legge approvata il 23 aprile 2024 del Congresso degli Stati Uniti con l’obiettivo di evitare il controllo da parte di rivali geopolitici “foreign adversary control” di applicazioni, siti e piattaforme web.
Si tratta di una legge che segue il noto modello del “divest or ban” in nome di esigenze di sicurezza nazionale. C’è da tenere presente che, solo negli Stati Uniti, TikTok ha 170 milioni di utenti e secondo il Pew Research Centre solo il 32 per cento degli americani è favorevole al divieto votato dal Congresso. Non deve allora sorprendere il ricorso presentato alla Corte d’appello di Washington contro la legge votata dal Congresso sulla base di una presunta violazione del primo emendamento costituzionale. Il 6 dicembre 2024 la Corte d’appello ha confermato la validità della legge votata dal Congresso pur riconoscendo il potenziale impatto che questa potrebbe avere sulla tutela di alcuni diritti costituzionali, primo fra tutti quello alla libertà d’espressione.
Tuttavia, per i giudici di Washington, la presenza sul mercato di altre piattaforme avrebbe contribuito a mitigare l’impatto delle conseguenze della legge. TikTok e un gruppo di utenti hanno allora deciso di adire la Corte Suprema che ha convocato un’udienza per lo scorso 10 gennaio in cui sono stati ascoltati gli argomenti delle parti in causa. E’ interessante notare cosa è accaduto tra il giorno della decisione della Corte d’appello e il 10 gennaio, data dell’udienza davanti ai giudici della Corte Suprema. Il 18 dicembre 2024 il Senatore Mitch McConnell ha depositato una memoria (amicus brief) per intervenire in giudizio. Per McConnell TikTok è “sotto il diretto controllo del Partito comunista cinese” per cui “questa confusa nozione che la piattaforma possieda un diritto alla libertà d’espressione per facilitare l’esercizio della censura da parte del Partito comunista cinese è assurda”.
E aggiunge: “Il Congresso avrebbe mai autorizzato Nikita Krusciov a comprarsi la Cbs per rimpiazzare il Bing Crosby Show con Alexander Nevsky?”. Per McConnell l’intera strategia di ByteDance si fonda sul prendere tempo per evitare la cessione entro il 19 gennaio e riportare il negoziato a livello politico sperando che la prossima Amministrazione sia più attenta agli interessi della società cinese rispetto all’attuale Amministazione. Per questo motivo ha chiesto alla Corte di far entrare in vigore la legge senza ritardi. Il 27 dicembre 2024 è addirittura Donald Trump in persona, nella sua capacità di presidente eletto, a depositare un’amicus brief alla Corte Suprema. L’intervento presenta passaggi degni del miglior situazionismo giuridico come quello in cui Trump si qualifica come esperto di social media in quanto fondatore della piattaforma Truth.
L’argomento giuridico di Trump si fonda su una considerazione prudenziale con cui si chiede alla Corte di non decidere nel merito ma di dare il tempo necessario al Presidente che entrerà in carica il 20 gennaio (giorno successivo rispetto alla deadline fissata dalla legge per la cessione di TikTok da parte di ByteDance) di risolvere la questione mediante un negoziato politico. Lo stesso 27 dicembre è il think tank libertario Cato Institue a presentare alla Corte una memoria che inquadra la questione puramente dal punto di vista della libertà d’espressione ritenendo così impossibile che, ai sensi del Primo emendamento costituzionale, il Congresso possa decidere di far chiudere una piattaforma solo perché non è gradito il messaggio che questa, o i suoi utenti, veicolano.
E ora cosa succederà? Senza alcun intervento della Corte, la cosa più probabile è che sarà reso impossibile scaricare l’app dal Google Play Store e dall’Apple Store e inoltre gli aggiornamenti non saranno più accessibili per chi avesse già l’app sul cellulare. Alcuni utenti potrebbero scegliere di migrare su soluzioni alternative, altri potrebbero decidere di utilizzare una vpn per accedere comunque a TikTok. L’esperienza del ban indiano a TikTok del 2020 dimostra che sarebbe comunque possibile prevedere ulteriori misure per evitare che l’app possa essere accessibile negli Stati Uniti. Quello che è sicuro è che la battaglia tra sicurezza nazionale e libertà d’espressione non riguarda solo gli Stati Uniti ma è, sempre di più, una questione globale.